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venerdì 28 novembre 2014

Portatore sano di emozioni altrui

Le campanelle della stazione di Bagheria suonano tutte in perfetto orario, cinque minuti prima che il treno arrivi alla stazione. Tutte tranne una. Quella dannata campanella del treno delle 5 e 45. La conosco molto bene io, la stazione. Lì ci passo molto tempo, quasi tutte le notti. E’ il luogo più vicino ad una casa che ho da circa tre anni, se casa si può definire una panchina dove andare a dormire la notte. 

giovedì 27 novembre 2014

Fiamma nera

Provavo dolore. Un dolore insopportabile, indistinguibile, era il dolore della rabbia e della gelosia, un dolore a me solito. Non posso scordarmelo, ero nel pieno della guerra, un proiettile mi aveva perforato la giacca, ma non solo questa, aveva bucato la foto di lei, della mia amata Erza, penso di non aver mai provato tanta rabbia in vita mia, ricordo solo che il foro del proiettile si era chiuso, mi ero alzato e, lentamente, mi stavo incamminando verso il fuciliere oltre la trincea, gli arrivai a qualche centimetro dalla bocca di fuoco, provò a spararmi ancora e ancora, avevo la giubba coperta di sangue e fori di proiettili.

mercoledì 26 novembre 2014

Poche cose in un borsone

Il pavimento era freddo, lo sentiva attraverso la guancia, freddo e duro, e odorava di polvere umida e di detersivo, aveva lavato il pavimento al mattino ma dopo aveva piovuto e al rientro lui si era portato sotto le scarpe di gomma un po’ della nebbia della strada e i marciapiedi delle merde dei cani, i cantieri dove era andato a cercare un lavoro e i bar dove aveva bevuto gin fino alla tacca centrale, poco oltre la soglia della dignità. Poi era tornato a casa.
Il pavimento era freddo, adesso lo sentiva anche attraverso la maglia e il collant, la gonna si era spostata verso l’alto ma lei non si mosse, non allungò il braccio per abbassarla, forse lo pensò, però come si pensa nei sogni, quando si vuole fare qualcosa senza invece avere la forza di muoversi di un millimetro.
E infatti non si mosse, chiuse gli occhi e decise di pensare a Venezia, da quanto tempo voleva andarci, dai tempi del viaggio d’istruzione che non aveva fatto perché lui era geloso e non aveva voluto lasciarla andare, che ti serve andare da sola a Venezia aveva detto, poi ci andiamo insieme, in fondo è la città degli innamorati, che ci vai a fare senza di me. Ma poi non ci erano mai andati, lui diceva che le gondole gli sembravano bare galleggianti, e poi lo sanno tutti che Venezia puzza di piscio di gatto, altro che città romantica, roba per turisti giapponesi, come dire per allocchi pieni di soldi, ci sono tante belle città in Italia, lo sanno tutti che Venezia è cara e poi estate e inverno c’è sempre un’umidità che non si respira. Molto meglio Roma. O Firenze.

lunedì 24 novembre 2014

Le botte di mia madre


Per educarmi mia madre non mi ha dato molte botte, ma quelle poche erano piuttosto creative. Mia madre aveva una certa fantasia nel picchiarmi, uno schiaffo per lei non era solo un necessario, magari non voluto, atto estremo di contenzione e rettifica dei miei comportamenti, ma era anche un modo per lei di esprimere la qualità del suo insegnamento che doveva distinguersi dagli altri. 

venerdì 21 novembre 2014

Tutti ruffiani, in questo caso

E poi si torna –  in aereo, in auto, in treno –, esitazioni, preparativi, gli abiti, le scarpe (te le studieranno – la fattura, le cuciture, le screpolature della tomaia, le suole). Ti guardi allo specchio e già li senti: passano per tutti gli anni, eri un bel bambino, quante ne combinavi (non lo diranno ma tu lo sai, penseranno che  sei  invecchiato male, la pancia, come se a loro non spuntassero capelli bianchi, rughe). E pretenderanno che tu abbia avuto successo: se vai via è perché il paese non ti ha offerto nulla. Lo hai avuto? 

mercoledì 19 novembre 2014

Il ragno



Hanno tirato le tende e accostato gli scuri, la stanza è in penombra, se il silenzio fosse fatto di luce, avremmo delle grosse lampadine al posto delle bocche invece siamo come dei vecchi pesci in una fontana d’acqua marcia. Spenti.
L’aria è pesante, un odore dolciastro ammorba i nostri respiri. Avverto il disagio come una fune che ci costringe gli uni agli altri e che l’assenza di luce ora accorcia ora dilata, ridicolo per chi come noi ha reciso ogni legame.

martedì 18 novembre 2014

A denti stretti

Come ogni sera si prepara alla battaglia, la fronte corrugata esprime il disagio di un sforzo inutile. La fortezza è imprendibile, lampi bianchi nel buio a tratti ne illuminano la presenza. L’assedio dura da mesi, ormai, ma non accenna ad arrendersi. Non un cedimento schiude quelle porte inviolabili.

lunedì 17 novembre 2014

Carne in via Neruda

Da noi, in via Neruda, non è domenica se non c’è l’odore di carne arrostita e lenzuola pulite nelle case. L’odore di bucato,quello buono. Quello lavato a mano, vecchia maniera. Che la domenica è giorno di riposo e si lava tutto, per la famiglia. La carne arrostita perché la domenica è giorno speciale. 

domenica 16 novembre 2014

AAS Vintage: Morire ascoltato da me

L’avevo appena detto l’altro giorno a mia moglie, negli ultimi anni non riesco più a seguire i nuovi cantanti, da giovane ero più attivo, cercavo nastri sintonizzavo radioline mi piaceva sapere le posizioni nelle classifiche, c’era la hitparade, c’erano i dischicaldi, era un buon passatempo, in tempi scarsi di tutto il resto. I cantanti circolavano in quantità adeguata al fabbisogno. Oggi trovo ce ne siano troppi, non ce la faccio a memorizzare i loro nomi i titoli i ritornelli.
Con mia moglie in cucina stavamo sparecchiando e io le dicevo questa cosa, mentre nel salotto la televisione mandava uno di quei programmi in diretta tipo Una canzone è per sempre, o forse Ti lascio in eredità una canzone, non ricordo bene. Stava cantando un ragazzotto tutto scena, il cappellino storto, pantaloni con cavallo alle ginocchia, teneva il microfono come si tiene un ombrello, non so cosa stesse cantando di preciso, non si capiva, era una specie di filastrocca.
Ecco, vedi, ho detto a mia moglie, questo per esempio chi è? e mi sono avvicinato alla televisione per sentire meglio, ho cercato il telecomando tra i cuscini del divano, ho aumentato il volume quasi al massimo. Così va meglio, adesso si sente bene, tu riesci a sentire? Ma a mia moglie di queste cose non gliene frega niente, manco mi ha risposto.

venerdì 14 novembre 2014

E la morte non avrà più dominio

Una delle cose che mi piacerebbe ascoltare da morto, sarebbe una poesia del mio autore preferito. Sapete, uno che legge, senza scomporsi, davanti alla mia salma. Dove ci siete voi, che respirate, che vi affannate per i molteplici errori di valutazione all’interno della vostra vita. Dove ci sono io, vittima della morte, che vi guardo sghignazzando da una parte all’altra della bella chiesetta di provincia. 

giovedì 13 novembre 2014

A scappare siamo tutti bravi

A scappare siamo tutti bravi, e che ci vuole, una valigia e “buonanotte ai suonatori, vi saluto a tutti e assabinirica”…
 è rimanendo che si vede il coraggio, ci vogliono le palle, si le palle, perché se sei nato qua puoi vivere ovunque.
Il verbo preferito da Erri De Luca è “mantenere” e adesso è diventato anche il mio, perché significa tenersi per mano, man-tenere, ed è quello che voglio fare, prendere per mano la mia “bedda terra” e tenermela stretta stretta, perché è MIA.
Mi ricordo mia nonna, che si vantava, si annacava, quando qualcuno veniva dal “continente”, sapevano cucinare si, e lei orgogliosa  “ma no come mia” …. il suo aspetto, il suo odore, i suoi abiti, il suo sguardo, tutto di lei sapeva di sicilianità.

mercoledì 12 novembre 2014

Cartoline da Lampedusa

“… e tu, dove credi di andare?” Antonio lo guardò perplesso e lo fermò alla porta dell’hangar.
“Please. Fami entrare. Io entrare. Io prego”
Era nero; era sporco; era mezzo nudo con indosso una vecchia tuta; ma no, non era malato.
Antonio si fece perentorio: “Ti ho detto che qui non si entra!” lo strattonò per un braccio. “Ci sono le casse. Hai capito?”
Il negro non reagiva. Era alto, solido e curvo come un ulivo ritorto; non faceva segno di allontanarsi.

martedì 11 novembre 2014

In ricordo di Beppe Salvia

Dal suo Una pagina dal Memoriale di Dick Babley
[...]
Finalmente ne sono uscito. La buona sorte m'ha aiutato, una signora comprensiva. Adesso vivo con questa donna della mia stessa età. Vecchi? Vivo con lei che senza chiedere niente mi ha tirato fuori dal luogo di cura, dove sono rimasto per anni, desolato; sempre solo. Dove ho affinato il mio pensare. Ma questa era opera invisa.

Non posso sentirmi di peso e così mi ingegno. Sfrutto le mie naturali doti di calligrafo e sono pagato come copista. 
Ma è solo quando passeggio sulla spiaggia e alzo in volo i miei aquiloni che mi sento desto. Preciso e equilibrato. Agli aquiloni affido molte delle mie note. Molte delle mie poesie.

lunedì 10 novembre 2014

La parte più intellettuale di me

Che ne so io del corpo…Non ne ho mai avuto una percezione precisa. Fino a circa dieci anni, non sapevo bene nemmeno se ero maschio o femmina. Mia madre mi tagliava i capelli corti, con la riga di lato, e non mi faceva mettere né orecchini né il pezzo di sopra del costume così gli altri bambini mi chiedevano cosa fossi. 

sabato 8 novembre 2014

AAS Vintage: Merde d'artisti

Il giorno in cui sono nato mi sentivo strano, la gente mi guardava con la faccia da ebete. Io non capivo. Ad un certo punto venne un tizio con una mascherina e mi diede una sberla sulla chiappa destra.
Ricordo, mi fa ancora male, come fosse successo ieri. 
Mi dicevano che ero un’opera d’arte. Ora ho 30 anni. Ho capito cosa intendevano quando mi dicevano che ero un’opera d’arte. 
Si riferivano all’opera di Piero Manzoni, “Merda d’artista”. Nel 1961 questo gran talento mise trenta grammi delle sue feci in novanta barattoli con tanto di descrizione. 

venerdì 7 novembre 2014

A Little Piece of Heaven - Avenged Sevenfold

Tu eri mia. Tu sei mia, dovevi essere Mia! Magari se mi avessi ascoltato. Tutto questo non sarebbe successo, la colpa è tua, io ho solo ascoltato un istinto, un istinto animale, ognuno ne ha uno dentro... ho solamente ascoltato un istinto. Mi son divertito, è stato divertente, il tuo corpo era così morbido, la lama non faticava neanche a lacerati le carni, avevi finalmente perso la testa per me, infatti ho dovuto ricucirtela, lo sai che non ho mai imparato a cucire bene, hai sempre pensato a tutto tu.

Il tuo viso era stupendo, quelle lacrime ti lucidavano gli occhi, e poi il rosso ti dona, quelle labbra, ricordo ancora quanto erano fredde al tatto, era stato il tuo miglior bacio. Quella freddezza, quella morbidezza mi calmava, sei sempre stata brava a calmarmi, ti curavi di me, mi coccolavi. Ora toccava a me curarmi di te. Mi hai sempre detto che il tuo cuore mi apparteneva, per tanto, ho preso ciò che era mio, il tuo sorriso, le tue lacrime, la tua purezza, il tuo sangue... il tuo cuore. 

giovedì 6 novembre 2014

Murder ballads: Pretty Polly

Scivolava e lui la tirava per la mano ed era fango sulle sue scarpe ed era fango fra le sue sottane ed era freddo e vento e la pioggia le sferzava la faccia, ma William non si fermava, non manca molto, diceva, e Polly inciampava, Polly si graffiava, Polly urlava a William di fermarsi un attimo, ma il vento l’aveva reso sordo, la pioggia cieco e forse ricordava questo adesso sul ponte, con le vele immobili da ore e l’acqua nemmeno increspata – il capitano aveva detto che il colpevole doveva venire fuori e a uno a uno si erano fatti avanti: non sono io, signore, lo giuro. 

mercoledì 5 novembre 2014

Le cose sante ai cani

L'approssimazione come antinevrosi
però dopo averne sottolineato il fascino
e l'irregolarità 
mi sedetti
non è mai dove dovrebbe essere 
ama la libertà
pensa con la sua testa 
la sua caratteristica essere sempre in fuga
li obbliga a un argomento
anche lui aggiunge una postilla poi ci pensa
tanto distratto da essere scambiato continuamente
a mio avviso è grave 
o assurdo
non si trovano parole o immagini
per definirlo.

lunedì 3 novembre 2014

Quasi veri

Magliette, pantaloni, tappeti da cucina, tende, borse, plaid, portarotoli all’uncinetto. Sventolano sulla mia testa e per schivarli inciampo sulle cassette di frutta.
Sono al mercatino settimanale. Non l’ho potuto evitare.
Mi hai telefonato poco fa, mi convochi per il tardo pomeriggio, io ti dico di sì, non sono né contenta né triste. Non ti vedo da quindici giorni, o venti? non ricordo. Ho avuto altro da fare.

domenica 2 novembre 2014

AAS Vintage: Considerazioni sull’uso dell’intercalare Minchia nella lingua siciliana


Se d’estate ovunque  c’è caldo, in Sicilia non si può stare.
E noi eravamo seduti sotto l’albero di fichi neri grossi quanto una bomba a mano, che tali sono pure quando cadono sfracellandosi in una pappetta rossastra e appiccicosa. E pure pruriginosa che ti mangia la carne.
Noi eravamo io, mio fratello di dieci anni che è come la rogna dei cani,  e lo zio Turi.
Io e mio zio distesi sulla coperta che aveva grattato mio cugino tornando dal servizio militare, mio fratello arrampicato sui rami alla ricerca del fico più grosso e maturo.