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lunedì 26 ottobre 2015

I generi letterari secondo AAS: il romanzo romantico ottocentesco


Il romanzo ottocentesco non sarebbe mai stato scritto se le verdi campagne inglesi non fossero state popolate da pastori protestanti, con fregole alle stelle, che generavano figlie destinate a rimanere zitelle come se piovesse.
Fanciulle sospiranti e sospirose che con grande fantasia e osservando la natura (accoppiamenti di capre e bestiame vario), comprendevano che a loro forse stava sfuggendo qualcosa della vita, che l’unico sussulto non era quello provocato dal pungersi con l’ago del telaio; o imparare lingue morte da istitutrici zitelle e povere in canna. Altre lingue volevano imparare. 
Altra caratteristica del personaggio femminile del genere letterario romantico è l’istinto del cane da caccia, detto anche da cane di brughiera, che le fanciulle sviluppavano alla vista di esemplare maschio (raro). 
Tutte le signorine sopra un osso. 
Altro elemento fondamentale è la fantasia, come sarebbero altrimenti potute sopravvivere, per esempio, le sorelle Bronte, che l’unica vista di cui godevano dalla loro abitazione erano le lapidi della canonica di Haworth, lapidi color verde guano d’uccello. Uccello morto.
Per scrivere un romanzo romantico bisognava preferibilmente esser rimaste orfane in tenera età, avere un padre mezzo parrino, camera con vista cimitero, un amore (inventato) non corrisposto e beccarsi la tisi attorno ai venti anni. Una brughiera ventosa era il tocco finale.
Che sfiga!
In realtà queste povere ragazze represse avrebbero voluto copulare con tutti: stallieri, maggiordomi, lattai, qualsiasi bipede del circondario. E invece a sospirare da mattina a sera. La soluzione scrivere, scrivere come delle forsennate tra un sospiro e un colpo di tosse.
Di solito il romanzo cominciava con una bella epistola, dove tra sfoggio di ottima educazione e descrizione di abiti e malanni di stagione, si scrivevano almeno tre pagine per non dire nulla e si viveva in attesa di una risposta che impiegava sette giorni di cavallo e due di locomotiva per arrivare.
Per citarne uno tra tutti, ecco Cime Tempestose, io, in verità non ci ho capito granché, se non che Emily Bronte aveva una grande passione per le previsioni metereologiche, e che sicuramente lei e le sue sorelle, a scopo curativo si facevano di qualche erba medica che procurava visioni e sdilinquimento, così si materializzavano fantasmi, uomini incazzati e donne con le idee confuse.
La voce narrante, certa Antonella la portinaia (Nelly per gli amici), era una grande sparrettiera, sapeva tutto di tutti e infarciva di particolari le solite storie di liti tra vicini, storie di corna vendette e proprietà, altro che amore! Soldi che non bastavano per pagare dottori e specialisti che là avevano tutti dolori alla cervicale per il gran vento che soffiava. E certo Heathcliff (che come caspita si pronuncia?) si affacciava mezzo nudo alla finestra per spiare quell’armuzza finulicchia di Cathy, e la portinaia si gustava la scena di questo Hulk sempre verde dalla rabbia, e di Cathy, seminuda, dietro le tende svolazzanti colore della carta velina - troppo vento presero e infatti, in questo racconto, dopo grandi incazzature (e quando sembra che gli obiettivi siano per essere raggiunti), si schiatta, ma almeno romanticamente si trova ristoro in una bella sepoltura gentilizia, che dalla balata istoriata manco uno spiffero di vento tempestoso ci passava.
Insomma meno male che oggi con un sms e un colpettino di whatsapp le risposte arrivano all’istante, le donne non sospirano più e nonostante gli ospedali spesso sembrino ancora dei lazzaretti, la tisi è stata sconfitta.

Adele Musso