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mercoledì 13 aprile 2016

La morte del Principe - Il Gattopardo raccontato dalle cameriere

Sono qui. Del viaggio non mi sono resa conto, a cassetta assieme al cocchiere, che il vento mi cancellò le lacrime e non mi sono accorta né delle strade né delle grida del cavallo frustato, a sangue, senza ragione.
Perché correre? Di sgarrubbo, dall’ingresso di servizio.
Chiudo la porta, faccio piano, sembra che dorma.
Sirio, le Pleiadi, l’alcova di Vega, e Giove e Saturno, gli spingo le parole negli orecchi. Nulla. Sono le vostre stelle... non è sonno questo. E allora parlo più forte, e piango e le parole si impastano coi singhiozzi.
Mio principe, ho qui i taccuini e le formule magiche delle vostre stelle. Mi insegnaste i nomi e io li ripetevo la sera assieme alle preghiere. Dicevate che il firmamento è immutabile, che le stelle non appartengono a nessuno. Io senza luce appartenevo a voi. Ecco, tenete. La mano è inerte, una lieve peluria la ricopre. Ricade e io la prendo e poi la guido sul mio volto e nella rigidità che avanza il freddo consolida ogni gesto.
Sul mio volto di vecchia, sulla bocca sottile dall’attesa, sul collo e tra i capelli che erano invidia delle nobildonne. Il seno no, mio padrone, quello non figliò, perché non c'era uomo che potevo amare. Come siete piccolo, gigante rannicchiato, rimpicciolito. Saranno le mie le vostre mani. Adesso state fermo che vi faccio la barba che domani nessuno abbia a dire che io v'abbia trascurato.


Adele Musso