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mercoledì 27 aprile 2016

Gorgonzola

Glielo spiaccico ad un tratto sulla testa pelata, anche sui baffi e poi comincio a leccare. Lui è paralizzato. Mi subisce, era prevedibile, da masochista. Lo noti dalle mani sudate.

martedì 26 aprile 2016

La ricotta

Il primo amore non si scorda mai - chi l’ha inventata questa minchiata -, ci si baciava seduti sul parapetto di cemento del lungomare, il mare di fronte, il traffico delle auto e tutto il resto alle spalle.  Erano momenti che ci si dimenticava il proprio nome, si tenevano gli occhi chiusi e in questo modo si dimenticava anche il nome di chi si stava baciando. 
Nella testa coagulavano voci campanelli clacson risacca gridigabbiani. Quel primo amore è stato un fulmine che piombato addosso tra l’ora di lettere e l’ora di diritto, una cotta quando arriva è incontrollabile, un prurito smania vertigine non so.
 
Poi è facile dire che non si scorda mai – e ancora non ho scoperto chi ha detto questa minchiata -, che il primo amore non dura più di un paio di settimane, poi tutta la sostanza è stata tirata via, ci si è baciati abbastanza, sotto il sole, seduti sul parapetto bollente di cemento ruvido del lungomare, sedici anni è un’età che ci si annoia presto.
Così la nuova storia ti aggredisce tra l’ora di geografia e l’ora di matematica e tu ci caschi di nuovo come un sedicenne. È la ricotta.

Raimondo Quagliana

venerdì 22 aprile 2016

La scarpa giusta

Due calamite nello stesso campo di attrazione. Io di qua dal vetro, lui dall’altra parte, sul marciapiedi.
Portava il casco sottobraccio, un giubbotto nero da motociclista. Capelli lunghi e spettinati.
Da questo e dal suo sguardo indomito ho capito che, insieme, saremmo stati assolutamente bene.
Sì, mi fu subito chiaro: non sarei mai andata con nessun altro.


giovedì 21 aprile 2016

Un nome


Non so se lo avrei chiamato padre o madre, non so neppure se avrei avuto più voce. Adesso la neve sui davanzali ovattava i suoni e gli uccelli avevano perduto il nido.
Lasciavamo impronte sulle strade, minuscole, io ero come un cristallo di ghiaccio, invisibile all’occhio, e non ricordavo di avere un nome o se l’avessi soltanto sognato. Così il gesso si incrinò e mi spezzai le unghie, al cuore ci avrebbero pensato i cattivi maestri e i corvi che stanno su entrambe le spalle.

martedì 19 aprile 2016

Mini

Ecco una mamma è appena uscita di casa, sono le sette e trentacinque di mattina, un bimbo di mezzo metro che si tiene alla sua mano – ha la posizione del tedoforo olimpico, anche il passo è uguale, corre corre per starle appresso.
La mamma indossa una tuta comoda che le servirà fra un’ora per la palestra. Il bimbo è vestito per benino, mini-jeans con il risvolto e mini-sneakers rosse, un giubbottino ultimo modello pittibimbo, orologio fuori misura al polso, trascina un trolley minuscolo, una scatola venti per venti per dieci, con manico e ruote, a colori fluorescenti.
Va con la sua mamma alla scuola per l’infanzia, come se fosse pronto per un viaggio. Che viene da pensare, cos’è? un bimbo d’affari, un omino instancabile di cinquanta centimetri che vola su piccoli aeroplani costruiti apposta per lui e per quelli come lui. Cosa porterà dentro il suo mini-bagaglio? una merendina, una mezza banana, piccoli plichi di documenti o microfilms, forse una bottiglina di acqua.

lunedì 18 aprile 2016

Portami gli occhiali - da La moglie di Pirandello

(puntate precedenti: Giovanna, dopo aver distrutto il servizio dei piatti rivela la sua identità, dice di essere Antonietta Portulano, moglie di Pirandello)

Tu sei pazza, Giovanna, tu sei pazza.
Lo dissi, in questo modo, con forza, potenza, cercando la voce giusta perché la mia asserzione diventasse inattaccabile, una verità enorme, massiccia, un monolite che si staglia dal suolo e non lascia altre interpretazioni sulla sua forma. Più che parole volevo che sembrassero una luce netta sul suo stato alterato, la rivelazione del suo stato, bisognava dirlo, non c’è molto da nascondere in questo caso, solo da prendere atto della realtà e trovare un rimedio, per lei, per me, per i piatti rimasti, per i piatti ormai rotti, per il cappottino avorio-panna, per i pomeriggi a venire.

giovedì 14 aprile 2016

L'urlo e il colore





L'argine del Po bianco e nudo come dopo una nevicata, che un urlo squarcia, è un urlo feroce, le fauci aperte a mostrare l'ugola, il nero. Il risucchio fino in fondo apre luce sulla sua prima luce, una forse, prima carezza sul grembo materno, ed una mai, dopo, ricevuta. C'è un lungo assottigliarsi di membra che si protendono lungo i fianchi, sui pantaloni neri e dritti che stanno su da soli. Ma non solo buio, ci sono colori che tingono di rosa gli sfondi delle sue savane che sono savane di belve e fauci e denti. E i denti adesso mostra, non un miagolio.

mercoledì 13 aprile 2016

La morte del Principe - Il Gattopardo raccontato dalle cameriere

Sono qui. Del viaggio non mi sono resa conto, a cassetta assieme al cocchiere, che il vento mi cancellò le lacrime e non mi sono accorta né delle strade né delle grida del cavallo frustato, a sangue, senza ragione.
Perché correre? Di sgarrubbo, dall’ingresso di servizio.

lunedì 11 aprile 2016

Trecce e taralle (e qualche pidocchio)

Quando  traslocammo dalla nostra terza casa avevo già finito la seconda elementare; mia sorella aveva un fidanzato e una sera lui portò nella nostra nuova casa i suoi genitori. Mia madre offrì loro un liquore alla cannella e uno alla menta; mangiammo pasticcini alla mandorla e mia sorella ricevette un anello d’oro bianco con delle piccole pietre trasparenti .

venerdì 8 aprile 2016

Anagramma di Moira

Erano fili neri lunghi e plastificati quelli che li tenevano uniti, una ragnatela, non una rete di salvataggio.
E adesso? Cosa ne sarebbe stato di loro? Adesso che la base di quell’impalcatura che avrebbe fatto invidia a un parto della mente di Renzo Piano, si era spenta, zittita, time out.

giovedì 7 aprile 2016

Gioventù siciliana - Cosimo Manza

E’ certo che me lo ricordo, Cosimo Manza.  Si vedevano qui di fronte la sera, lui, Mimmo e tutti gli altri; si mettevano dietro la saracinesca dell’officina dove lavoravano; erano giovani e chi li poteva tenere?

mercoledì 6 aprile 2016

Angelica alla parata garibaldina - Il Gattopardo raccontato dalle cameriere

Augusta si segna prima di entrare nella stanza della principessa. Le rare volte che ha dovuto svegliarla presto è stata di un umore che avrebbe fatto scappare il diavolo. E si segna di nuovo. Non è compito per la cameriera giovane che aspetta nel corridoio con il vassoio della colazione. 
“Eccellenza…Buongiorno. E’ l’ora di alzarsi. Eccellenza?”
Un grugnito dalle coperte le conferma che l’eccellenza ha sentito.
Quando era viva la principessa Stella, non era un problema per lei alzarsi all’alba per le preghiere del mattinale. Anzi tutta la servitù la seguiva volentieri nelle litanie. Ma erano altri tempi, timorati di Dio. Quest’altra principessa se l’era scordato che suo nonno era Peppe detto Merda che all’alba se ne stava già nei campi. Genìa di contadinazzi arricchiti che fanno presto a riempirsi di profumo per nascondere il lezzo del concime. E quante fisime. Non si diventa una signora facendo i capricci. Gesummaria. E si segna per la terza volta prima di scostare di botto le pesanti cortine di broccato. Ora sì che siirrita davvero. Augusta sorride di nascosto per il piccolo dispetto, guardando il cielo splendente di sole primaverile.

martedì 5 aprile 2016

Torna a chiamare aiuto


“Non ho più voglia di cercarlo” dissi “ho fatto due volte il giro dell’isolato e anche un po’ più in là.”
Agnese teneva il guinzaglio con una mano e l’osso di gomma nell’altra, mentre coi gomiti spostava i rami più bassi degli alberi del parco; aveva le ginocchia sporche di fango e gli occhi umidi.

lunedì 4 aprile 2016

Lucio

Una lattina si schianta contro bicchieri in plastica un paio di tacchi sbattono sul parquet vicino alle portefinestra gli scarponi da sergente nazista non permettono di abituarsi ad ascoltare il respiro del terreno che spiaccicano. Le voci sono stecche di violino: “no perché il Presidente ha fatto bene a dirgli di non rompere i coglioni!”

venerdì 1 aprile 2016

ScriviBertè - Per i tuoi occhi ancora

Ero appena una ragazza. Trascorrevo il mio tempo nella bancarella di tiro a segno del Luna Park, intenta ad allineare lattine sui ripiani, pronte lì per essere colpite e buttate giù.
Preparavo i caricatori da porgere agli avventori di turno, con gesti misurati e ripetitivi.
La serata estiva era appesantita dal caldo, dalla gente che si avvicinava curiosa e dall'assordante frastuono.