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martedì 14 marzo 2017

La signora Carla e il canarino giallo - da storie di ordinariato




Per ritrovarsi bisogna aprire la gabbia.
Quel mattino la signora Carla guardò il canarino che viveva nella gabbia da più di quindici anni e le sembrò sbiadito. Poi si specchiò e la riga che le separava i capelli era diventata bianca, non le importava più d’arginare gli anni con artifici. Attraversò quel solco e fece ritorno all’uccellino che le ricambiò uno sguardo muto. La stanza era in ordine, antica, pulita, se ne riempì gli occhi anche se l’esser vecchi li rimpicciolisce e si fatica a tener tutto a memoria.


Quel mattino non avevamo sentito il canto del canarino della signora Carla, quella sorta di segnale che era ora di sbrigarsi.
Ma l’uccello della signora Carla? Mi disse mia madre da dietro la mia spalla destra.
-Stamattina niente, mi sta facendo sballare l’orario. – risposi guardando l’orologio a padella appeso alla parete della cucina.
-C’è qualcosa che non va, sentenziò lei con il ferro da stiro che sfiatava.
La bestiola non cantava, in attesa avvertiva la sospensione della signora Carla, disorientata da un cenno che non arrivava. La Carla stava inventariando la stanza: un lampadario d’ottone, portafoto di nipoti altrui (la figlia non aveva avuto bambini ma di queste cose non si parla), oggetti vecchi, ché non erano mai stati ricchi e tante cianfrusaglie che il genero le portava dai viaggi, lei non aveva mai rifiutato, li poggiava dove trovava spazio ma non le importava nulla di luoghi che non riusciva neppure a collocare geograficamente. Un giorno aveva messo tutti quegli oggetti in un sacco e li aveva regalati al portiere, quello adesso si vantava di essere stato in giro per il mondo pur non essendosi mai mosso dalla guardiola.
Non c’era neppure odore di cibo per casa, la camera della figlia e del genero era vuota. Ancora in viaggio, ancora.
Anche la poltrona del soggiorno, quella vicino alla finestra era vuota, il plaid rosso e blu piegato con cura. Lui era uscito, arzillo come sempre, fuori a passeggiare, così diceva. Il baffo impomatato, il cravattino e i guanti in tasca, un bastone elegante al braccio.
-Ma che bell’uomo!
-Un vero stronzo, mamma.
-È una vita che le mette le corna, ridicolo, un galletto rinsecchito.
-Tu credi alle chiacchiere della gente?
-No, alla faccia della Carla.
-Lo ama e lo fa andare come un figurino, i colletti delle camicie sembrano di zucchero.Una pupaccena.
-Per te la roba stirata è l’unità di misura del matrimonio.
-Non del matrimonio, dell’amore.
-E com’è che tu ed io siamo da sole mamma?
Ha sbattuto il ferro sull’asse e se n’è andata stizzita.
La signora Carla riempie l’ampollina dell’acqua, la vaschetta con il mangime. Oggi è maldestra e i semini si riversano sul pavimento sotto il trespolo su cui è poggiata la minuscola voliera.
Oggi non cucina, nessun sugo ai crostacei, nemmeno quel riso dolce che ogni tanto ci fa assaggiare, che io non ho mai capito come può diventare gustosa una roba tanto collosa.
Apre la gabbia (il canarino è abituato ad uscire), compie un giro per la stanza e  canta, libero. Uno due, tre svolazzi da una parete all’altra, senza sporcare s’intende, si poggia sul braccio di lei guardando fuori dalla finestra chiusa, con un ultimo volo torna dentro.
Quando si poggia sul braccio la signora Carla lo afferra e stringe, sempre più forte.
Pensa alla morte e all’ultimo sussulto delle galline, a quante ha tirato il collo e ne ha spiumate, fa tanto bene ai polmoni il brodo.
Stringe il canarino che piega la testa. Va a sedersi alla poltrona di lui, ma prima apre la finestra del salone, le tende si sollevano insieme ad una piuma perduta dalla bestia che adesso ha uno sguardo stupito.
La signora Carla tiene le mani in grembo, il suo orecchio attende il rumore dell’ascensore, delle porte di metallo che le ricordano tutti i ritorni. Lo ama. Sì, lo ama, è questo il motivo per cui non ha avvelenato il suo cibo, e ha ingoiato lacrime, chiuso la gabbia, cambiato acqua, riempito piatti, lavato colletti che altre avrebbero sfiorato.
La chiave, il bastone che spinge la porta.
È identico a stamattina, forse più profumato.
Si guardano e lui esita. La sua poltrona. Lei.
-Cara, cosa hai?
Lei apre la mano, il canarino sembra che dorma.
-Povera cara, dice sfiorandole la guancia. Lei aspira il suo odore, soltanto il suo.
-Gettalo via, te ne prenderò un altro al mercato. Cosa c’è per cena?
-Sai cosa mi ha detto il portinaio oggi?
-Dimmelo mamma, non voglio che tu stia male.
-La signora Carla gli ha dato il trespolo e la gabbia del canarino.
Fa una pausa ad effetto perché io sento di aver spalancato gli occhi.
-Sì, il canarino pare sia morto.
-Non si può tenere a lungo un volatile rinchiuso, muore di nostalgia mamma.
-Eppure sembrava felice.
-Di cosa parli?
-Del canarino, chi altro?

Adele Musso