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venerdì 30 maggio 2014

Murder Ballads: Song of Joy

Una notte, mentre il vento parlava con la voce dei morti, alzando fantasmi di foglie e nubi di neve, un uomo bussò alla mia baita. Lo vidi nel vano nero della notte mentre il filo di luna rendeva grigi i suoi occhi e il suo viso. Mi raccontò dei suoi giorni passati, del suo tempo felice, della sua donna, Joy.  Mi parlò del suo paradiso perduto, dell’allegrezza che mancò troppo presto nella loro casa di sposi e della tristezza che la donna riversò nelle vene delle loro tre figlie.  Mi raccontò di quella immensa amarezza. Né risa né voci di bimbi né grida giocose per casa. Il silenzio immoto riempiva ogni vano e ogni giorno. Perfino l’aria, diceva, era pregna di un’insana mestizia, lui l’avvertiva: “era il presagio di un giorno peggiore”. 
E quel giorno era giunto, mentre lui, mi disse, era fuori di casa, e venne con la mano omicida a recidere insieme le quattro vite, cupe come nero d’abisso. Da quella notte egli era in cerca dell’uomo. Sapeva che ancora la mano uccideva, folle e assetata, lasciando scritte sopra muri bianchi di calce.
Della sua casa ancora parlò, riferì della frase lasciata dalla mano violenta e che diceva di un paradiso perduto. Mi chiese se avevo una stanza, se potevo ospitarlo, mentre a me parve scrutasse le mie pareti bianche di calce.


Adelaide Jole Pellitteri


Song of Joy è un racconto narrato in prima persona da un uomo che, in una notte da incubo, bussa alla porta di una baita per chiedere ospitalità. Il titolo della canzone significa "Canzone di gioia", ma anche "Canzone di Joy" (il termine inglese "joy" è traducibile con "gioia" ed è anche un nome proprio femminile): e Joy è il nome della moglie del narratore, che racconta di essere in viaggio da anni in cerca dell'uomo che la uccise assieme alle loro figlie. Tuttavia, man mano che costui racconta la propria storia, un dubbio si insinua nell'ascoltatore: il tono, la parlata, le espressioni facciali che istintivamente associamo al narratore pur non vedendolo, perfino alcune delle sue parole tradiscono qualcosa. Qualcosa che fa pensare che l'uomo stia raccontando la verità, ma dal punto di vista sbagliato. Così, alla fine, la domanda innocente che egli pone al suo silenzioso interlocutore, ("Do you, sir, have a room?/Are you beckoning me in?" "Avete una stanza libera, signore? Mi lascerete entrare?") suona terribilmente inquietante: chi abbiamo ascoltato finora? Un uomo distrutto o un omicida fuggiasco?