Google+

venerdì 17 ottobre 2014

La storia dell'Annunziata cattiva


Della sua famiglia, se non fosse stato per lei, nessuno avrebbe parlato e sparlato. Ma l’Annunziata era com’era. Pareva fosse stata concepita dal demonio piuttosto che dall’amore carnale e divino.
Se quella notte i suoi l’avessero generata imperversando scirocco, si sarebbe capito il perché di quel carattere coniato all’inferno; ci fossero stati fulmini in cielo, la si sarebbe creduta figlia di un tempo spietato ed ostile. I suoi genitori, invece, l’avevano “fatta” tra lenzuola di candido lino, appena sposati, così com’era l’usanza di allora.

Bella di viso, di gambe e di seno, l’Annunziata s’era sporcata assai presto. Decideva lei con chi andare. Dove andare. Se tornare a casa per cena o mancare due giorni senza dire niente a nessuno. E tutto questo, quando non aveva ancora nemmeno l’età per votare.
Cattiva già con i compagni a dieci anni, che perfino picchiava, sua madre avrebbe preferito saperla scambiata da un’infermiera distratta piuttosto che accettarla come figlia; per forza. Ma gli occhi non davano alcuna speranza. Non c’era bisogno di prove, di riscontri genetici. Erano identici ai suoi.
Dov’erano finiti i primi sorrisi, le prime paroline, e i bacini mandati soffiando sul palmo della piccola mano!?
L’Annunziata era mai stata bambina?
Sì, ma solo per pochissimi anni.
Cinque, ne ricordava sua madre.
Poi erano stati pianti e dispiaceri.
Suo padre ormai non le rivolgeva più la parola né la degnava di uno sguardo qualunque.
“La si doveva far crescere a pedate”, diceva astioso Don Pino, il prete che raccoglieva le lacrime di Concetta; madre amorevole, devota a santi e beati.
Don Pino aveva anche ammonito più volte quella piccola bestia, non si dicono bugie in confessione, aveva pure tuonato l’ultima volta. Poi, stanco di quella bocca scandalosa e malefica, l’aveva scacciata come un cane da dentro la chiesa.
Adesso che l’Annunziata teneva il mestiere in un bivani di Corso Filippi e da un pezzo aveva perso i vent’anni, anche la bellezza cominciava a mostrarsi più simile all’anima sua. La faccia ingiallita dal fegato a pezzi, l’aria ingrugnita. Non si capiva quali clienti potesse avere e soddisfare.
Si diceva che ormai facesse tutto gratis. Che campasse di regali e pietà. Della solidarietà di chi l’aveva posseduta ai tempi della pazzia adolescente.
Ma l’Annunziata piangeva spesso da sola, correndo dietro ai ricordi.
Aveva amato la sua fanciullezza, i giorni in cui suo padre, uomo stimato da tutti, le raccontava le favole seduto sul bordo del letto, mentre lei, con gli occhioni sgranati, ascoltava. E si stupiva e rideva e tirava su le spalle, a tratti impaurita dal drago. Poi sorrideva al principe azzurro che sempre arrivava in soccorso.
E piangeva forte, con singhiozzi che straziavano il cuore, al ricordo di quei giorni lontani.
Tra quei racconti era nata la storia dell’Annunziata cattiva. Quando, con un balzo da lupi, suo padre l’era entrato nel letto.

Adelaide Jole Pellitteri