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mercoledì 27 maggio 2015

I CUL - Prima puntata

Camminava lento, trascinando la sua gamba tra i viottoli sudici e bui della città. Stringeva forte al collo la sciarpa che svolazzava per il vento, tra le labbra una vecchia e fedele pipa. Camminava lento,  mentre le gocce della pioggia scivolavano giù dalla grande visiera del suo grande cappello; la mano tremolante si appoggiava al bastone, così nero, così stanco, così simile a lui. Ecco, Lui, cosi veniva chiamato da tutti poiché il suo nome era cosi strano, cosi impronunciabile che nessuno e forse neanche egli stesso se lo ricordava. Non sapeva nemmeno perché continuava a rimanere lì, in quel luogo dimenticato da Dio, dove i ratti e gli scarafaggi la facevano da padrone; un luogo freddo, per niente accogliente, affatto familiare. Non si sarebbe mai sentito a casa lì, e chissà ancora per quanto tempo. Eh si, la Signora Apatia aveva divorato tutto: emozioni, colori, sensazioni, dolore. Parole ormai sconosciute per Lui. E così pensava e così cercava di accelerare il passo verso quello che tutti avrebbero definito un sottoscala, ma Lui chiamava casa. Eppure non era stato sempre così, ci fu un tempo, molto lontano ormai, è vero, ma ci fu un tempo in cui Lui viveva e viveva davvero, non solo per sentito dire. Ci fu un tempo in cui il suo cuore batteva forte e fiero nel petto. 


E proprio mentre pensava a questo, il fato volle prendersi gioco di lui e, facendo alzare il vento, fece in modo che gli svolazzasse proprio davanti agli occhi un piccolo volantino, tutto colorato. Lui lo prese e lo strinse forte tra le due dita, lasciando che la sciarpa si agitasse per i colpi d’aria. «Il prossimo mese sarà ospite della nostra città Shafigghipù, l’inventore più geniale della storia». Leggeva, e ad ogni parola il suo cuore si agitava maggiormente; gli pulsavano le tempie, gli si seccava la bocca, il respiro diveniva sempre più affannato e pesante. Per un attimo tutto attorno a lui sembrava offuscato e tremolante. Lo odiava, lo detestava. Era stato lui a privarlo di ogni emozione, di ogni calore, di ogni sensazione. Era stato lui a privarlo della sua vita. E fu proprio lui a riportarlo alla realtà. Il volantino aveva innescato una reazione; aveva provato una sensazione di rabbia, di vendetta, di odio. Il suo cuore era impazzito, il suo sangue aveva ripreso a circolare. Fu come se un getto di acqua fredda lo avesse improvvisamente svegliato. L’agitazione a poco a poco lasciò spazio alla razionalità, e si accese in lui una lampadina. Per anni e anni aveva cercato un modo per avvicinarsi a lui e vendicarsi, senza riuscirci mai. E ora, che si era arreso all’idea di essere un fallito,  il destino voleva che i due si rincontrassero per un ultima, decisiva volta.  Ancora tremolante strinse il volantino a sé, e con gli occhi sgranati gridò «Avrò la mia vendetta. Quando sarai qui farò in modo che la mia faccia sarà l’ultima cosa che vedrai nella tua vita. Rimpiangerai di avermi umiliato tutto questo tempo». «Brutto ubriacone va' a dormire, qui c’è gente che lavora sai?», gridò una anziana signora da un balconcino buttando via la sigaretta. Ma Lui non le diede peso, era il suo momento di gloria e nessuno avrebbe potuto rovinarglielo. E così scoppiò in una fragorosa e malefica risata. Non aveva neppure finito di sghignazzare quando una improvvisa colata d’acqua gli arrivò sulla testa; alzò appena gli occhi e vide un grasso uomo con in mano un grande catino, le sopracciglia aggrottate e lunghi baffi neri. Dopo un secondo di silenzio l’uomo sbuffò e gli gridò «Coglione!» e con la classe che può contraddistinguere un uomo di quel tipo rientrò in casa. È vero, era zoppo, vecchio, stanco, forse ubriaco e sicuramente tutto bagnato, ma quella fu la notte migliore della sua vita. Il sottoscala non era mai stato così bello ai suoi occhi, e perfino il suo cuscino, fatto da diversi strati di cartone, sembrava insolitamente morbido. Tutto finalmente sembrava ruotare per il verso giusto. Era giunto il suo momento; era l’ora del suo riscatto. Adesso bisognava capire soltanto in che modo avrebbe schiacciato il cattivissimo Shafigghipù. Ma l’orologio della chiesa di fronte batteva già le tre; era tardi e Lui era stanco, e così, immerso nei suoi pensieri di gloria, a poco a poco si addormentò. E lo fece, per la prima volta dopo tutto quel tempo, con un sorriso sulle labbra. 

Stefania Morreale