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martedì 29 settembre 2015

Il calcio spiegato dall’uomo che è in me alla donna fuori e intorno a me

In ognuno di noi convivono una parte maschile e una femminile. Talvolta esse se ne stanno beatamente ognuna per i fatti suoi, talaltra si rompono i maroni a vicenda a giorni alterni.
Nel mio caso il conflitto tra l'uomo che è in me e la donna che è fuori e intorno a me è capace di disegnare surreali atmosfere a metà strada tra Casa Vianello e la Guerra dei Roses e, oltre a regalarmi sostanziose fette di strano, in alcuni casi mi assicura pure una discreta fornitura di figure di merda assortite. La convivenza diviene difficile, se non addirittura impossibile, quando di mezzo c’è il calcio, terreno di scontro su cui si infrangono i buoni propositi di ambedue le parti. 
La situazione tipo vede l’uomo che è in me apprestarsi ad un qualsivoglia evento calcistico con la stessa ansia e trepidazione di un bimbo che attende la venuta di Babbo Natale. A tale scopo egli procura di rimuovere qualsiasi rottura di maroni che possa inficiare il sacro rituale dei novanta minuti in cui soffrire, imprecare e gridare come un ossesso, bestemmiando in turkmeno e ruttando come un camionista. Il nemico principale da neutralizzare è la donna che è fuori e intorno a me. L’altra metà di questo moderno androgino, specializzata in scartavetramento di coglioni, non riuscendo a comprendere fino in fondo la portata dell'evento e per nulla sintonizzata sull'onda emotiva della sofferenza agonistica,che già ore prima invade l'uomo che è in me, cerca ogni volta di evitare quella che per lei è una vera e inspiegabile tortura: trascorrere in poltrona un'ora e mezza del suo tempo a fissare un rettangolo verde, con dei tizi che corrono su e giù e gente invasata che li incita nei modi più strani e svariati.Etichettata la cosa come occupazione inutile, la donna che è fuori e intorno a me decide che quel tempo può essere impiegato in maniera molto più costruttiva. Vengono pertanto fissati, con luciferina astuzia, una serie di improcrastinabili appuntamenti che devono svolgersi proprio quel giorno e proprio all'ora della partita, prospettando all'uomo che è in me lugubri scenari apocalittici che vanno dalla fine del mondo all’invasione aliena in caso di mancato espletamento. 
L’uomo che è in me, ben conoscendo la portata della detonazione seguente ad un rifiuto e illuminato da un improvviso senso pratico, tende in alcuni casi a soprassedere, rinunciando ai suoi programmi di spiaggiamento e abbrutimento pallonaro, al solo scopo di non sentirsela dint’ e ‘recchie e di poter disporre di un bonus per un'occasione calcisticamente più succulenta. Egli, quindi, si vota al sacrificio e accompagna la donna che è fuori e intorno a me all’imperdibile retrospettiva su quel famoso regista vietnamita con annesso dibattito post proiezione. Il suo famoso senso pratico, però, lo consiglia di dotarsi di smartphone, onde poter gettare un occhio di tanto in tanto per restare aggiornato sul risultato. Può capitare tuttavia che egli, dimentico del luogo in cui si trova, esploda in un “Gol!” proprio durante la scena clou del film, tra l’indignazione degli astanti e, ovviamente, della donna che è fuori e intorno a me, la quale, giustamente risentita, gli sequestra il cellulare per punizione.
Nei casi in cui l'appuntamento calcistico è improrogabile, vedi finali di Champions, Mondiali o partite decisive di campionato, l'uomo che è in me si dimostra irremovibile nel suo proposito e, avvinghiato alla poltrona come un koala, riesce a spuntarla costringendo la donna che è fuori e intorno a me a soprassedere. In realtà, dietro quella che sembra una facile vittoria c'è un lungo lavoro diplomatico fatto di una serie di contrattazioni serrate, stile mercante tunisino nel suq, che costringono l'uomo che è in me a barattare la visione della partita con una serie di promesse strappate con la violenza della prevaricazione in ossequio alla sempiterna legge del più forte. Può capitare, infatti,che l’uomo che è in me, prima di godersi il meritato premio,venga coscritto per accompagnare la donna che è fuori e intorno a me a fare shopping, con la promessa di rientrare in tempo per la partita, ma non prima di aver passato in rassegna tutti i negozi del centro e di essere ritornata a casa con un ricco bottino.
Quando finalmente sembra che tutto sia stato sistemato e che l'uomo che è in me possa finalmente godersi la sua partita, la donna intorno e fuori di me inizia un certosino lavoro di frantumazione degli zebedei, attraverso un sommesso ma continuo commento scoliastico ad ogni particolare che non ci azzecca niente col match, ma che serve a tenerla impegnata un po’ come quando si è in sala d’attesa dal dentista e si leggono riviste di gossip. L’uomo che è in me, quindi, tra un retropassaggio e un colpo di tacco, tra un rigore negato e un fuorigioco inesistente, mentre vede la sua squadra annaspare tra le difficoltà, si sente dire:"Ma da quale parte dobbiamo segnare?". 
E allora, ricacciando in gola una bestemmia, perché proprio in quel momento l’attaccante si è mangiato un gol: “Come da quale parte? Ma a destra! Non vedi che il nostro portiere sta dalla parte opposta?”
“Ho capito, ma comunque i guanti del portiere sono di un rozzo allucinante. Non potrebbero usarne di più carini?”
“Ma se servono per bloccare meglio la presa e per non farsi male durante le parate. Ecco, guarda ‘sta punizione…”
“Che volgarità quei giocatori in barriera! Si toccano il pacco mentre il tipo sta per tirare il pallone!”
“Guarda che è solo per non farsi male!”
“Tu dici? Ma se è risaputo che voi uomini state sempre a sistemarvelo, spostarlo… pare che non troviate mai pace lì sotto!”
“Zitta, che c’è quest’arbitro che è proprio contro di noi!”
“Ma chi? Il tizio vestito di giallo fluorescente?Si rende conto che è proprio una cafonata quel colore? Ma perché si sposta ogni volta che il pallone va verso di lui?”
“L’arbitro non partecipa al gioco! Si chiama arbitro per questo! Deve sorvegliare i giocatori!”
“Ho capito, ma ciò non toglie che sia vestito a figura di niente. Nessuno ha mai fatto una lezione di stile ai giocatori sull'abbinamento dei colori?”
“Ma sono i colori del club!”
“Senti, a me ‘sti tizi in mutande sembrano proprio dei tamarri! Ma l’hai visto quello con la cresta? E quell’altro che tiene tutte quelle punte colorate… Gesù! Sembrano Jem e le Holograms!”
“Oddio… Oddio… vai! Vai! GOOOOOOOOLLLLLL!!!!”
“Trovo davvero sconvenienti queste ammucchiate ogni volta che il pallone entra nella rete. Non potrebbero esultare con maggiore sobrietà? Perché quello si mette il pallone sotto la maglia? Il tizio che si sbraccia fuori dal campo perché non entra pure lui?”. Ovvio che, di fronte ad un simile martellamento, solo la pratica zen è in grado di far mantenere la calma all’uomo che è in me, evitando che pulsioni omicide possano prendere il sopravvento, impedendogli finanche di seguire il match con la dovuta attenzione.
Quando il fischio finale pone termine alle ostilità, inizia un altro momento importantissimo: il dopopartita con commenti, interviste, analisi a caldo e a freddo, replay e opinionisti. In questa fase si precisano le impressioni, si fa il punto sulla prestazione della squadra e sulle prospettive future e si attende l’analisi del Mister.
E proprio mentre da studio iniziano i collegamenti e l’uomo che è in me, attentissimo, sta con la faccia incollata al video, la donna che è fuori e intorno a me si alza e spegne la tv, perché prima di andare a letto bisogna mettersi la crema da notte e struccarsi col latte detergente, tamponare le occhiaie col tonico e spazzolarsi i capelli. 

Annalisa Scassandra