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mercoledì 27 gennaio 2016

Il numero tatuato

Da piccola ogni volta che vedevo il numero tatuato sul braccio di mio padre era il momento di una nuova storia, sì, perché lui, affascinato dallo sguardo incuriosito di una bimba innamorata della sua persona, inventava storie sempre a lieto fine. Da grande le cose cambiarono, una sera d’estate eravamo tutti in giardino, stranamente non mancava nessuno, moglie, figli, nipoti, generi e nuora. Mio figlio per la prima volta vide quel numero, era tatuato all'interno del braccio sinistro, piccolo e illeggibile. Nonno cos'è questo?
Io mi aspettavo un’altra storia fantastica e invece il racconto questa volta prese una nuova piega, quella della verità. Mio padre, ragazzo del 1917, parte per il servizio militare. Durante la sua leva scoppia la seconda guerra mondiale, ritorna a casa dopo sette anni. Dopo i primi mesi di combattimento - all’epoca credeva in quella guerra - fu preso prigioniero e portato in Grecia, in un paese di mare. Ma arrivato in quella terra simile nei colori e nei profumi a quella che aveva lasciato, prende coscienza dell’inutilità del conflitto bellico. Non riesce ad identificare il nemico in quei giovani che, come lui, hanno un unico sogno, trovare un buon lavoro e farsi una famiglia. Anche se prigioniero, per poter mangiare deve lavorare, comincia a fare il pescatore. Ma la guerra arriva pure in questo paesino sperduto sulle coste greche. I tedeschi fanno una retata e tutti gli uomini del luogo vengono presi prigionieri, tranne i vecchi. Viene portato in un campo di concentramento tedesco dove gli viene tatuato il numero sul braccio sinistro. Quello che ha visto in quei campi non lo ha voluto mai dire. In quegli anni di prigionia comprende una cosa importante: per salvarsi da morte sicura sarebbe dovuto scappare da quel campo. Come fare? Lui, ragazzo bello, alto 1.80, occhi azzurri e capelli castano ramati, viene visto dalle SS come potenziale collaboratore e lui accetta. Questa è l’unica chiave per aprire le porte del campo di sterminio. Rimane il tempo utile per organizzare la fuga, nel frattempo, rischiando la vita, fa il doppio gioco aiutando i prigionieri. Riesce a fuggire, tra passaggi occasionali, e tanti chilometri, a piedi arriva in Italia. Qua la situazione non è migliore, bombardamenti e battaglie hanno cambiato volto alle città. Le macerie e la povertà rende le persone dei morti viventi, la fame non perdona nessuno, per un pezzo di pane si può anche perdere la dignità. I tedeschi come cani cirneco vanno a caccia di disertori per fucilarli. Papà, per evitare la fucilazione, scappa sulle montagne e si arruola nei partigiani dove vive per un lungo periodo. Svela loro notizie utili sui tedeschi dei quali conosce pure la lingua. Sono passati mesi, anni, non ricorda più da quanto non vede sua madre, la sua famiglia, il suo cavallo. Il suo pensiero è sempre quello, ritornare vivo a casa, ma in certe circostanze capisce che non ce la può fare. Però superati i momenti di crisi la sua volontà diventa sempre più forte e determinata. Finalmente nel 1945 finisce la seconda guerra mondiale, ancora è lontano da casa, ma non importa, ormai bisogna soltanto arrivare a Bagheria.

Caterina Guttuso