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mercoledì 13 luglio 2016

Il mio Sudan

Dovevo andare, volevo conoscere e descrivere povertà e fragilità nel nostro pianeta. Scelsi il Sudan meridionale. 
Forse perchè diviso e flagellato da una guerra civile, la più lunga del continente africano. 
Dove la censura dittatoriale è talmente potente da negare la stessa guerra.
Appena arrivata, fui avvolta da odori intensi e penetranti, e da un'esplosione di colori che squarciava i limiti della percezione distratta.  Ben presto, purtroppo, conobbi anche una drammatica zona d'ombra.
Un nugolo di bambini dagli sguardi disperati mi accerchiò. Alcuni erano pelle e ossa, altri gonfi come palloncini. Un panorama infantile desolante.
Ero solo fornita di tante energie da manifestare, armata di coraggio e di un po' di sana follia fanciullesca, ma allo stesso tempo decisa a conoscere il sistema culturale di quella terra.
Mi fu subito chiaro che lì la lotta non la si ingaggiava solo con il nemico, ma anche con lo stato di bisogno, con le necessità a cui occorreva  far fronte; primo fra tutti:l'allarme sanitario.
Mi assalì la sensazione strana di essere altrove, in una realtà completamente diversa dalla mia, eppure a casa.
In un remoto villaggio di capanne di fango e paglia,conobbi Nahid (come Nahid Sirri,una femminista egiziana degli anni 40), si preparava alle sue nozze, aveva soltanto dodici anni e un'infanzia adombrata dall'infibulazione, subita all'età di otto anni.
Fui accolta dai pastori seminomadi, dai sorrisi semplici e pieni di gratitudine per qualche piccolo dono, inaspettatamente ricevuto, ma certamente necessario,soprattutto, se  si è nati e cresciuti in una capanna senza luce elettrica e senza acqua corrente. Manifestarono tanto calore umano,attraverso i loro sorrisi semplici e un rispetto raramente provato. 
Il caldo era torrido,  imperversava la siccità: la terra rossa. La povertà estrema.
Mi spiegarono che in Africa la strada è di tutti, anche dei bianchi “faranjii”, gli stranieri.
Qualche ora dopo la luce dolce del tramonto mi portò verso quella ricerca disperata del significato di tante cose... Assaporai la pace di quel momento prezioso, solo mio. Mi affiorò alla mente la scrittrice russa Nina Berberova e la sua  no man's land, la terra di nessuno: libera,segreta, inaccessibile e che è dentro ciascuno di noi.
Mi accorsi che fra quel silenzio lento e rigenerante, nell'atmosfera di un paesaggio dell'Africa, lontana dal mio mondo troppo urlato, ritrovai la mia terra di nessuno.

Mariella Cirafici