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martedì 4 ottobre 2016

Sei qui per resuscitare i morti? - La moglie di Pirandello

Ti ricordi di quella poesia di Thomas? Quella sulla morte.
Avevamo appena preso casa, ti piacque subito, a me no, e non che si trattasse di stanze o panorami o di balconi più o meno larghi. Sarebbe stata una casa. A te piaceva, feci in modo che piacesse anche a me. Con sforzo.
C’hai preparato i tuoi sughi strani, in quella casa. Li ho mangiati tutti, puntualmente, su paste sfatte e senza sale – chissà perché mettevi giù la pasta e poi te ne andavi a fare altro, per esempio spolverare sull’armadio, eppure otto minuti di cottura è scritto sul pacco. Io mangiavo, per fame. Per rispetto.
Gli amanti passano, l’amore si salva.
Quella sulla morte che abbiamo ascoltato dal tuo amico che la leggeva da qualche parte un paio di anni fa – eravamo in spiaggia e volevamo fare gli intellettuali di circostanza (siamo sempre stati bravi, non a riuscirci ma a manifestarne le intenzioni).
E poi quella canzone, che quando l’ascoltai la prima volta pensai che potesse suggellare la nostra unione più di fedi d’oro (quelle che lanciammo dal cavalcavia). Diceva che eravamo uno, ma non uguali.
Pensavo l’avessi scelta per questo. Poi ho capito: da qualche parte diceva pure: sei qui per resuscitare i morti?
Ci sono voluti dieci anni e passa.
Quando vogliamo credere in impalcature che non ci sono, questi errori si fanno.
Quando le impalcature poi cadono, non c’è tubo o raccordo che non ti finisca sul cranio.
Ad ogni botta ringrazi canzoni, poesie, balconi, sughi, indicazioni sui tempi di cottura.
Eppure quella casa non mi piaceva. Avrei dovuto dirlo subito.
Avere tutti i morti davanti.
E intanto la pentola bolle, i rigatoni scuociono, tu spolveri.
E canti “maledetta primavera”.

E urli Luigi, fai un bocca a bocca a ‘sto cadavere.


Giorgio D'Amato