Come ogni sera si prepara alla battaglia, la fronte corrugata esprime il disagio di un sforzo inutile. La fortezza è imprendibile, lampi bianchi nel buio a tratti ne illuminano la presenza. L’assedio dura da mesi, ormai, ma non accenna ad arrendersi. Non un cedimento schiude quelle porte inviolabili.
Per quale misterioso
incantesimo non riesce ad abbandonare un’impresa al di là delle forze? Di
sicuro una maligna entità soprannaturale controlla, per oscuri motivi, lo
svolgersi degli eventi, infatti un condottiero dotato di senno, nel libero
possesso delle sue facoltà, non manterrebbe ulteriormente in piedi
l’accampamento, farebbe altresì un veloce punto della situazione con gli
aiutanti più fidati, constaterebbe la superiorità del nemico, le avverse
condizioni del campo, potrebbe riconsiderare l’opportunità della guerra e, dopo
aver fugato i fantasmi dell’orgoglio ferito, alla fine raccoglierebbe le forze
e se ne andrebbe. Senza rimpianti, felice di aver mantenuto risorse sufficienti
per imprese più fruttuose.
Alla fine cosa importa perché
si combatte, l’importante è avere soddisfazione e bottino. L’importante in
guerra e in amore è avere almeno la possibilità di vincere.
Deve aver in qualche modo irritato qualche
oscuro signore del male che si è vendicato annebbiando i suoi sensi, sennò perché
rinnegare l’ineluttabilità di un abbandono necessario, perchè sfinirsi, per
quale pericoloso puntiglio continuare in quella battaglia notturna, perché
rincorrere fantasmi che non si possono infilzare?
Sospira, non avrà mai fine
quell’assedio continuo e le sue forze cominciano a vacillare. In attesa di
trovare il coraggio di smettere con quelle scaramucce notturne, bisogna
tuttavia andare incontro al nemico e farlo con le armi migliori.
Mescolando dubbi e oli
aromatici, conclude le abluzioni, si riavvia i capelli lasciando che onde
lunghe accarezzino il viso. Si avvolge in un candido sudario di lino fresco,
prima di vestirsi per il rito di guerra che non prevede un sacrificio finale.
Magari il nemico l’eliminasse, visto che non riusciva ad averla vinta, sarebbe
almeno una fine gloriosa, meglio di questa ricorrente mediocre battaglia che
non lascia mai vinti né vincitori, ma solo guerrieri stanchi.
Sa bene come andrà anche questa
volta. Dopo le consuete schermaglie preliminari, i nemici avrebbero cozzato, le
forze si sarebbero attratte e respinte con uguale intensità, le porte,
maledette porte bianche, inesorabilmente
serrate. Avrebbe, ancora una volta, provato a scardinare l’ingresso, ma il suo
ariete sarebbe risultato, come sempre, insufficiente. E dire che va alla guerra
con le armi migliori che ha e che mai hanno fallito il bersaglio in altre
circostanze, negli assedi di altre fortezze, non meno possenti.
Ma questa è unica nel suo
genere, un enigma indecifrabile, odiosa e affascinante, nello stesso tempo.
Ecco perché continua ogni notte a tentare di violarla, perché non riesce a
spiegarsi come mai possa ancora resistere.
La sua mente è confusa, avvolta
dalla nebbia di un’allucinazione, desolata come un accampamento senza fuochi.
Le pupille, ferite dai lampi, perse in uno spazio lontano dal quale ritorna una domanda. Sempre la stessa.
Quando la sera lo raggiunge in
balcone, la sua sagoma, appena più densa della notte, si gira illuminandola del
biancore dei suoi denti perfetti, inviolabili.
Le labbra carnose la invogliano
ogni notte ai baci, ma non appena si avvicina
trova un muro invalicabile. La lingua, come un grimaldello, prova ogni
volta a socchiuderli anche di poco, ma, dopo sforzi inauditi, rimane a lisciare
mucose e denti compatti ed estranei alla sua pena. Se si fosse staccata da lui
all’improvviso lo avrebbe visto ghignare in una smorfia da teschio.
Perché non darsi, perché non
permetterle di approfondire il mistero della sua bocca, quando le concede il
resto?
Non aveva mai avuto un uomo che
l’amava a denti stretti.
Ancora lampi nel buio. Le mura
della fortezza si avvicinano, chiamano.
Pochi passi e sarebbe stata,
ancora una volta, battaglia.
Marisa Vinci