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venerdì 3 aprile 2015

Storie dal sottobosco

La signora Rosa mi disse di Vincenzo. Provai tristezza e terrore. Ricordai di averlo incontrato pochi mesi prima nel bar che gestiva, felice come una Pasqua. Sorrideva con la sua eterna faccia da bambino.
Andai.
La casa era piena come un uovo. Le donne vagavano, non si rendevano conto, dovevano aver pianto tanto. Il vapore aveva opacato i vetri delle finestre. C'era fumo, un'atmosfera pesante densa di lacrime, odori corporali stantii.
Cercai i ragazzi di Vincenzo. Mi indicarono un a stanza. Dentro, in uno dei due letti si dibatteva la figlia urlando: - NO, NO. -
Mi feci largo tra i giubbotti di pelle e i jeans che le ricadevano attorno come salici. Le presi le braccia e la schiaffeggiai. La madre, che mi stava accanto, piangeva che no, non dovessi colpirla. La chiamai per nome: - Teresa, Teresa, alzando via via il tono, poi scoppiai in lacrime. La scossi forte e l'abbracciai. Arrivò un medico che le bagnò il viso e le braccia. - No, non voglio l'acqua-
Si dibatteva più forte, come un'invasata. Sentii la voce di Marco, fratello di Vincenzo, ripetere più volte: - Schiaffeggiatela!-
Io l'avevo già fatto e non volevo più colpirla.
L'abbracciai forte invece, sussurrandole tutto quello che avevo in mente, disordinatamente.  Poi chiamai a gran voce la madre: - Ecco, le dissi, C'è qui tua madre!
Ricucivo intanto tutte le sensazioni contrastanti che le procurava averla così vicina, adesso che non serviva più a niente. E spostavo tuttavia la sua attenzione su una serie di esercitazioni sulla parola madre.
Madre- figlia-amore-muro.
Madre-viaggio-città-muro.
Fino alla correlazione più tragica: madre-padre-morte.
Anche se più tragica ebbe il potere di organizzarle una serie di correlazioni con altre persone e in questo pesiero non si trovò più sola di fronte al baratro: il catafalco del padre.
Si sollevò e chiamò:- Marco, portami da papà. -
Lì si accasciò strisciando lungo il muro come un sacco vuoto davanti al legno duro e impenetrabile. La tenerezza per il corpo del padre prevalse sulla rabbia, sull'odio contro chi aveva colpito, contro la vita stessa beffarda e ladra. Cinse con le braccia i supporti del catafalco, come una piccolina  le gambe del padre per non farlo andare via e sussurrò: - Ero piccola ancora, papà, perchè te ne sei andato? Non ho avuto il tempo di stare con te, di giocare, di parlarti. Aiutarti. -


La signora Rosa mi raccontò di quando si recò a Parigi per raggiungere il marito. Era il 1960. Il marito era partito da oltre un anno. La gelosia la rodeva dentro come un tarlo. Gino le scriveva che andava tutto bene, lavorava e anche della casa, che si ora aveva sistemato. Ma lei partì.

Clotilde Alizzi