Allo’, per prima cosa per fare un
romanzo fantasy bisogna usare dei nomi incomprensibili perché più non si
capiscono, più la gggente farà fatica a pronunciarli, maggiore sarà l’indice di
gradimento.
Se il tizio che si è inventato
Guerre Stellari ha trovato i nomi dei suoi eroi scrivendo quelli di amici e
parenti al contrario, gli autori dei romanzi fantasy, che la vogliono fare più
fine ed elegante, preferiscono adottare un metodo scientifico: i dadi.
A seconda dei tiri vengono fuori
nomi talmente assurdi che uno appena li legge dice “Uà, ma cumm’ se chiamm’
chist’? Che nomm’ che cazz’! Quasi quasi mio figlio lo chiamerò così:
Galdwarthy” (ed ecco spiegato perché ultimamente in giro si sente chiamare:
“Percy, Grover, Gandalf venite a casa! Il pranzo è pronto!”).
Il secondo ingrediente è
l’ambientazione medievale, scelta che, solitamente, fa inorridire i medievisti,
notoriamente nerd e appassionati di romanzi fantasy, costretti tuttavia a
ingollare fior di imprecisioni storiche senza fiatare. E se putacaso uno si
azzarda a farne rilevare qualcuna, l’autore fantasy, che magari descrive il
mago Cal-a-mar che ha parcheggiato la Vespa nel cortile del castello medievale,
si rizzela e in un moto di sufficienza potrebbe pure dire, rampognando severo: “Embè? Quello
si chiama fantasy proprio perché posso fare come cazzo mi pare, sennò lo
chiamavo romanzo storico, ma poi avrei dovuto studiare e stare attento alle
date, sai che palle!”
Insomma, pigliati i nomi strevezi e la
location improbabile, essi si fanno pippiare come il raù all’interno di in un interminabile pippone di circa mille pagine, con una trama complicatissima che
già si annuncia nei titoli:
"Gli accoliti del Grande Raccordo Anulare"
"La
compagnia del bordello"
"L’accademia dei Kitebbivi"
"Il battito crepuscolare
delle ali di pollo".
La concentrazione è elemento indispensabile per codesto genere di lettura, perché, se malauguratamente uno si perde un passaggio, non riuscirà mai a
capire come mai il Nano ha tagliato la capa al Gigante cattivo, che voleva
rapire la figlia del re, che doveva sposarsi col figlio del re del regno
confinante, che a sua volta era prigioniero di una maga in una caverna in mezzo
alla neve e, mentre l’esercito del padre lo cercava per mezzo di un coniglio
magico per mari e per monti, quello si trombava allegramente la maga (di solito
una figona pazzesca con due tette tante) e non se ne passava manco per la capa
di sposarsi la figlia del re tutta baffi e brufoli.
Ma cosa spinge uno a zucarsi pagine
e pagine di roba del genere? È che il romanzo fantasy
è un fatto tremendamente social. E trasversale. Dannatamente trasversale. Sì,
perché con questi elenchi del telefono in mano non vedi solo guaglioni dentro
alla metropolitana che in mezzo al bordello stanno chini su questi libroni e
uno li guarda tutto ammirato pensando: “Uà, quello in mezzo a questo casino si
studia diritto privato!”, poi vai a vedere il titolo sulla copertina e ci trovi
roba tipo “Il trombo di spade” (una storia dove i protagonisti o squartano
qualcuno puzzandosi di freddo in mezzo alla neve o copulano con qualsiasi cosa
respiri –probabilmente per non puzzarsi di freddo-) che tu non glielo chiavi in
faccia solo perché non è un libro di Moccia. Dicevamo, non ci stanno solo i
guaglioni e la gente adulta: quello che fa più specie sono i criaturi.
Normalmente refrattario
a qualsivoglia tipo di stimolo culturale letterario che non sia la playstation,
il criaturo riesce a sciropparsi le mille e passa pagine di incantesimi, elfi, maghi
e grifoni alati senza battere ciglio, si ricorda tutti i nomi complicatissimi
che abbiamo detto prima, che se uno pensa a quanto ha dovuto buttare il sangue
per fargli imparare le tabelline e la divisione in sillabe farebbe a capate nel
muro. Mammà, in questi casi preoccupatissima, non sa se incoraggiare questa
passione o raddoppiargli la dose di giochi per la playstation allo scopo di
fargli disimparare a leggere, poi le viene un lampo e pensa che se il criaturo
si è letto tutte 'ste pagine allora è pronto per il grande salto nel mondo
della letteratura e gli dice: “Tieni, a mammà, leggiti Il Visconte dimezzato”.
Il criaturo guarda il libro, poi guarda lei, fa una faccia
schifata e dice: “No no, che siamo matti? È troppo grande! Ci vorrebbe un anno
per leggerlo!”.Annalisa Scassandra