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venerdì 31 luglio 2015

Il romanzo fantasy secondo AAS

Allo’, per prima cosa per fare un romanzo fantasy bisogna usare dei nomi incomprensibili perché più non si capiscono, più la gggente farà fatica a pronunciarli, maggiore sarà l’indice di gradimento.
Se il tizio che si è inventato Guerre Stellari ha trovato i nomi dei suoi eroi scrivendo quelli di amici e parenti al contrario, gli autori dei romanzi fantasy, che la vogliono fare più fine ed elegante, preferiscono adottare un metodo scientifico: i dadi. 
A seconda dei tiri vengono fuori nomi talmente assurdi che uno appena li legge dice “Uà, ma cumm’ se chiamm’ chist’? Che nomm’ che cazz’! Quasi quasi mio figlio lo chiamerò così: Galdwarthy” (ed ecco spiegato perché ultimamente in giro si sente chiamare: “Percy, Grover, Gandalf venite a casa! Il pranzo è pronto!”).
Il secondo ingrediente è l’ambientazione medievale, scelta che, solitamente, fa inorridire i medievisti, notoriamente nerd e appassionati di romanzi fantasy, costretti tuttavia a ingollare fior di imprecisioni storiche senza fiatare. E se putacaso uno si azzarda a farne rilevare qualcuna, l’autore fantasy, che magari descrive il mago Cal-a-mar che ha parcheggiato la Vespa nel cortile del castello medievale, si rizzela e in un moto di sufficienza potrebbe pure dire, rampognando severo: “Embè? Quello si chiama fantasy proprio perché posso fare come cazzo mi pare, sennò lo chiamavo romanzo storico, ma poi avrei dovuto studiare e stare attento alle date, sai che palle!” 
Insomma, pigliati i nomi strevezi e la location improbabile, essi si fanno pippiare come il raù all’interno di in un interminabile pippone  di circa mille pagine, con una trama complicatissima che già si annuncia nei titoli: 
"Gli accoliti del Grande Raccordo Anulare"
"La compagnia del bordello"
"L’accademia dei Kitebbivi"
"Il battito crepuscolare delle ali di pollo".
La concentrazione è elemento indispensabile per codesto genere di lettura, perché, se malauguratamente uno si perde un passaggio, non riuscirà mai a capire come mai il Nano ha tagliato la capa al Gigante cattivo, che voleva rapire la figlia del re, che doveva sposarsi col figlio del re del regno confinante, che a sua volta era prigioniero di una maga in una caverna in mezzo alla neve e, mentre l’esercito del padre lo cercava per mezzo di un coniglio magico per mari e per monti, quello si trombava allegramente la maga (di solito una figona pazzesca con due tette tante) e non se ne passava manco per la capa di sposarsi la figlia del re tutta baffi e brufoli. 
Ma cosa spinge uno a zucarsi pagine e pagine di roba del genere? È che il romanzo fantasy è un fatto tremendamente social. E trasversale. Dannatamente trasversale. Sì, perché con questi elenchi del telefono in mano non vedi solo guaglioni dentro alla metropolitana che in mezzo al bordello stanno chini su questi libroni e uno li guarda tutto ammirato pensando: “Uà, quello in mezzo a questo casino si studia diritto privato!”, poi vai a vedere il titolo sulla copertina e ci trovi roba tipo “Il trombo di spade” (una storia dove i protagonisti o squartano qualcuno puzzandosi di freddo in mezzo alla neve o copulano con qualsiasi cosa respiri –probabilmente per non puzzarsi di freddo-) che tu non glielo chiavi in faccia solo perché non è un libro di Moccia. Dicevamo, non ci stanno solo i guaglioni e la gente adulta: quello che fa più specie sono i criaturi.
Normalmente refrattario a qualsivoglia tipo di stimolo culturale letterario che non sia la playstation, il criaturo riesce a sciropparsi le mille e passa pagine di incantesimi, elfi, maghi e grifoni alati senza battere ciglio, si ricorda tutti i nomi complicatissimi che abbiamo detto prima, che se uno pensa a quanto ha dovuto buttare il sangue per fargli imparare le tabelline e la divisione in sillabe farebbe a capate nel muro. Mammà, in questi casi preoccupatissima, non sa se incoraggiare questa passione o raddoppiargli la dose di giochi per la playstation allo scopo di fargli disimparare a leggere, poi le viene un lampo e pensa che se il criaturo si è letto tutte 'ste pagine allora è pronto per il grande salto nel mondo della letteratura e gli dice: “Tieni, a mammà, leggiti Il Visconte dimezzato”. Il criaturo guarda il libro, poi guarda lei, fa una faccia schifata e dice: “No no, che siamo matti? È troppo grande! Ci vorrebbe un anno per leggerlo!”.

Annalisa Scassandra