Venerdì.
Tra
di noi ci sono assassini e complici, sbirri in borghese e civette, camminano in
piazza a braccetto, ognuno senza sapere che ruolo ha l’altro; vanno a comprare
le sigarette o il giornale, saranno pure qui al bar – il miglior modo per nascondersi è restare in vista –; ieri hanno impugnato le armi e con le stesse mani oggi ti
salutano, ti stringono la mano o le allungano per porgerti lo scontrino mentre
ti chiedono la pizzetta o il caffè, con quelle mani ti lasciano pure la mancia.
E intanto che penso svolgo il mio lavoro – corto o lungo?
Sul
Giornale di Sicilia ci sono Cosimo Manzella e Michelangelo Amato in prima
pagina, nella quarta i dettagli della morte di Giusto Parisi. Qualcuno commenta
i fatti del giorno prima ma stancamente: tutti trepidano, aspettano il morto
nuovo, e intanto rileggono il giornale che qualcosa sfugge sempre.
E' mezzogiorno, al bar arriva la notizia di una sparatoria, viene accolta con un
respiro di sollievo, la fame del mostro temporaneamente è placata.
Alla
Milicia hanno sparato a uno in un bar.
≪E questo è il primo di
oggi≫ dice don Ciccio.
≪Oggi a quanti arriviamo≫ dice mio zio.
≪Secondo me oggi ne
facciamo una cutuliata≫
dice don Ciccio.
≪Spararono a ’u
Malufigghiu≫.
E' figlioccio di don Piddu Panno, dopo la scomparsa del padrino non si era più
fatto vedere in giro tant’è che molti pensavano che fosse scomparso di lupara
bianca. Tanti fanno questa fine, un amico gli da appuntamento e si presentano
in quattro, prendono il predestinato, una sentenza sommaria e lo ammazzano. Il
cadavere finisce in un pilastro di una costruzione in fabbrica, squagliato
nell’acido o buttato in mare aperto con una base di cemento ai piedi.
Pietro
invece era tornato, quando la gente lo vide prima pensò a un fantasma e poi a
un miracolo, invece era lui che camminava in carne e ossa, lo vide vivo che
respirava, mangiava e scherzava ma tutti concordavano, questo c’è e non c’è, è
provvisorio.
(da L'estate che sparavano, di Giorgio D'Amato)
ORE 21.30 alla Torre di Salaparuta di Casteldaccia (PA)