Quella mattina arrivò in ritardo in ambulatorio; le donne girarono lo sguardo su di lei per un attimo, poi ricominciarono a parlare fra di loro, a fissare la parete bianca, a seguire da lontano le labbra di chi stava parlando.“Chi è l’ultima”, disse Matilda – dopo qualche minuto, girando la testa in un verso e nell’altro alla ricerca di un’interlocutrice. Subito dopo qualcuno rispose: “ io… sono l’ultima.”
Aveva i capelli un po’ arruffati, corti, rossicci, stopposi come i suoi; teneva sulle gambe una borsa con delle buste gialle. Matilda si avvio per sedersi sulla sedia di metallo vuota, proprio accanto a lei. Si scambiarono sguardi brevi e discreti, rimasero in silenzio per un po’ mentre le donne uscivano ed entravano ad intervalli regolari.“Ma… anche lei ha ricevuto l’invito?” “Faccio sempre questo esame, per me è un esame di routine.“
Sembrava tranquilla la tizia, risoluta, Matilda invece non era calma, per ben due volte era stata assalita da violente ondate di calore, si era strappata il foulard che teneva annodato al collo, aveva aperto la giacca e aveva sbottonato la camicia leggera di cotone.
La donna stavolta sorrise comprensiva, poi le chiese: "Da quanto tempo è in menopausa?"
Matilda rimase in attesa; non riusciva a collegare quelle parole al loro significato, le aveva udite perfettamente, ma non riusciva a dare un senso, eppure aveva sentito benissimo; le era successo anche altre volte, era come se una parte di lei si fosse staccata e agisse autonomamente - rispose infine: da quattro anni.
La sentì arrivare ancora. Le si dilatò lo spazio fra il diaframma e lo stomaco, su, sempre più su, fino a serrarle il petto e poi la gola. Il vuoto si fece immenso, cercò di fermarlo, ma avanzò e le tolse il fiato, cercò con gli occhi una finestra aperta - la vide e si sentì salva - i polmoni ripresero a funzionare, i battiti rallentarono. La donna che le sedeva accanto le sorrideva mentre assisteva ai suoi contorcimenti.
I primi due anni tutto andava bene, non avevo grossi problemi – voleva giustificarsi. In quel periodo mi stavo occupando di mia madre - fino a novant’anni era stata bene lei! Cominciò a parlare in modo disinvolto, fece uno sforzo per essere normale. Autosufficiente, appiccicosa…sa come sono le persone anziane - mia madre era autosufficiente, avevamo un buon rapporto - qualche problema di pressione, di colesterolo. Chi non ha di questi problemi? Anch’io ho cominciato ad averlo alto in gravidanza, quando facevo gli esami era sempre alto.
S’immagina? - chiese la donna - ho tre figli, grandi ormai per fortuna, sono tutti fuori, mi sono sposata giovanissima, avevo diciassette anni. Lei ha figli? Certo; la vita era un campo di grano dove lei aveva spigolato. Ora cosa le restava? ora, lei si vedeva immersa in un campo di maggese, la terra messa a riposo, senza la possibilità di prendere, di stringere fra le sue mani, neppure un fiore di campo; lei voleva - non l’aveva mai fatto? - bagnarsi alla rugiada del mattino senza coprirsi il capo, e godersi la vista del cielo rosato del tramonto; magari sul terrazzo della sua casa; leggere i libri che ancora non aveva letto, e scrivere finalmente le sue poesie in santa pace, avrebbe fatto in tempo? In gravidanza è normale che sia alto. Le sarebbe piaciuto cambiare argomento – aveva lasciato la verdura in ammollo e se avesse ritardato, l’avrebbe ritrovata marcia, avrebbe dovuto metterla a scolare - ma le sedie quasi si toccavano - aveva il labbro superiore e la fronte sudati; mentre parlava cercava, annaspava, dentro la borsa un fazzoletto. Le donne in attesa come lei nella sala avevano tutte all'incirca la sua età, qualcuna doveva essere perfino più anziana. Lei non accompagnava nessuno, non era lì per uno dei suoi figli e neppure per sua madre, non era lì per nessuna malattia, era lì solo perché era passato tanto tempo, tanto tempo e lei era ormai invecchiata. Si, ho due figli, ancora studiano, fanno l’università; lavora? lavoro saltuariamente. Le ho raccontato di mia madre, e con i figli… quello che ho passato! meglio non parlarne, anche se lei è così gentile. Ma che mi succede, pensò Matilda, io lo sapevo, non avrei dovuto venirci in questo posto, già mi sento malata, anzi già morta, sì, come lei; quante volte sono venuta con lei, in questi posti? I Pronto Soccorso chi li conosce meglio di me, il ragazzo che aveva le dita maciullate e quel vecchio che non parlava, non si muoveva, ma ruotava solo gli occhi?
Io ai miei figli non lo dico quando sto male, ma mio marito è costretto a prenderne atto. Mi capita di mollare tutto; lascio le responsabilità tutte su di lui. Anche rifare i letti, a volte non posso. D'altronde loro non si fanno scrupoli a caricarti come un asino tutta la vita. Il loro alibi è il lavoro, la carriera, e continuano senza strappi finché noi reggiamo. Io ora non reggo più, non c’è niente da aggiungere. Ferma. Definitiva. Le due donne sorrisero, erano lì da ore; tanto valeva capirsi meglio e non lasciare l’una nell'altra immagini sbagliate. Matilda decise di raccontarle le sue fobie per l’ascensore e quelle per l’automobile; era stata una partita persa solo a metà, lei in paese riusciva ancora a guidare ma lo faceva solo se era strettamente necessario - e pensare che prima guidavo per rilassarmi, - chi potrebbe crederci? A casa neanche se ne accorgono, dicono che sono esagerata. E’ normale avere qualche disturbo, i “disturbi della menopausa”; era “normale” – anzi è naturale come era stato naturale che la madre morisse a quella bella età. Anch'io razionalmente la pensavo così, aveva quasi novant'anni, non sorrida, sì. La sua era stata una vita dura, mia madre… qualcosa si era conficcato dentro la sua testa, alla fine e il tempo si restrinse di colpo, si raggrinziva e si rattrappiva – si avvolgeva come la pellicola di un film già tutto visto, alla fine si arrestò mentre beveva un bicchiere d’acqua, appena un sorso, che le tolse l’ultimo fiato. La signora dai capelli rossi non rispose. Non era una domanda da fare quella. Però, disse: ha ragione. Matilda non riusciva a crederci. Questa donna non era come le sue amiche. Non si sforzava di essere forte, eppure lo era, dura. Anche a lei sarebbe piaciuto mollare tutto. Le venne in mente Carlo, suo marito, quanti minuti la mattina davanti allo specchio – si giustificava, non posso presentarmi all'ufficio con questa barba e la camicia la cambiava tutti i giorni, e i pantaloni - non indossava più quelli con le pieghe che aveva dovuto tenere in ordine per anni, no, per fortuna ora portava quelli più attillati, tipo jeans. Matilda rise ma inaspettatamente la sua compagna cominciò ad inveire: da soli non sono niente, la famiglia, la moglie, sono la terra che calpestano e che li tiene in piedi: ci ha mai pensato? Sì, certo. Il loro trampolino quando vogliono intraprendere qualcosa – siamo noi che reggiamo la corda. E’ per questo che non sopportano di essere abbandonati; creda a me, non sopravvivono.
La sua situazione è molto simile alla mia, le disse, ma vede, io continuo a provarci e sono sicura che presto tutto questo passerà. Per questo non rinuncio alle cose che facevo prima, anche con lui; ci provo sempre. Guidare mi fa sentire libera, non vado più in autostrada, ma in città guido ancora, faccio ancora come se niente fosse successo; sto aspettando il momento opportuno per riprendere il controllo della situazione . Aspetta e spera – io, invece non vedo l’ora di andare a dormire - prendo una pillola, disse d’un fiato, abbassando gli occhi di smeraldo. Erano rimaste da sole nella sala d’attesa e a quel punto la signora dai capelli rossi si alzò e disse: tocca a me. Il discorso stava prendendo una piega che non le piaceva: loro possono lasciare, abbandonare, tradire. Ma se lo fanno le donne! La legge la fanno loro, le regole le fanno loro, ce le hanno nella testa e nessuno gliele può togliere. Ce le hanno nel SANGUE, sentono di avere la potestà, il diritto di vita e di morte sulla moglie e sui figli. Le ammazzano, un giorno sì e uno no, Signora – le sentiamo queste cose! L’uomo da solo è un disgraziato - Io vorrei essere sola, invece. "Ma lei a letto con suo marito ci va ancora?” Matilda si fermò a pensare, poi le rispose: Sì certo, ci vado. Portava un vestito di seta con disegni floreali dai colori vivaci, la sua vicina di sedia, aveva un’abbronzatura sbiadita, gli occhi verdi e grandi. Aveva rughe marcate sotto l’ombretto beige. Ora la guardava con attenzione - era una bella donna, secondo lei, trasandata ed elegante nello stesso tempo, aveva alcuni particolari che la facevano sembrare attraente, un seno prosperoso e un portamento altero, delicata nei lineamenti; No, io non mi concedo. Aveva detto, proprio così, “concedo”. Voglio solo essere lasciata in pace. Ma suo marito come la prende? Mio marito mi tiene il broncio e attacca litigi, mi rende la vita impossibile. Ma io non ammetto prepotenze, non m’importa, disse la donna. Una donna dai capelli rossi e stopposi, piccola ed altera. Anch'io, continuò, ho avuto problemi: attacchi di panico, come lei! Mi sono sentita come se fossi sbarcata su un altro pianeta e avevo paura ad intraprendere qualsiasi iniziativa. Improvvisamente Matilda si animò, ora come sta? le chiese. Insomma, è dura. Vorrei stare da sola. Ci penso spesso…vorrei lasciare mio marito. Matilda arrossi, scostò inavvertitamente la sedia. Si sentiva coinvolta da quelle confidenze da parte di una sconosciuta. Chi era? E perché le stava raccontando quelle cose…ma anche lei, era stata lei che aveva dato inizio a quella conversazione, e si sentì improvvisamente in colpa. Cos'altro aveva detto? Pensò di doverle dire che aveva delle amiche che sapevano come affrontare questo tipo di problemi, che con loro tutto diventava facile, cose su cui ridere prendendo una tazza di tè.
Matilda rimase ad aspettare. Passarono pochi minuti, e quando la porta si riaprì, si alzò e le andò incontro, le mise in mano un biglietto. Mi chiami – le disse. Spero di rivederla presto, disse l’altra. Matilda entrò e fece la sua mammografia.
Rosa La Camera