Come è bello far l’amore da Trieste in giù.
Stasera ho esagerato nel dare la botta di collo. Io faccio la cretina e loro si divertono. Parrucconi e zeppe. La metà di questi ci butterebbe addosso una tanica di benzina, viene a vederci per ridere, gli scimpanzé in gabbia sono accettabili. Per truccarsi ci vogliono due ore. Le arcate sopraccigliari vanno oltre l’attaccatura dei capelli. Se vuoi avere successo devi essere spudorata.
Stasera c’era pure lui.
Era seduto al tavolo con due ragazze e un amico. Si sganasciava mentre sculettavo sul muso di quel pelato in prima fila. L’avrei fatto con lui, per mollargli una puzza. Non mi ha riconosciuto.
Per tutta la serata ho pensato a come vendicarmi di quella volta che mi ha sputato in faccia dopo avermi detto che ero un frocio malato. Solo perché avevo osato camminare sul marciapiede dove lui stava appollaiato sulla moto.
Hai la faccia della morte in vacanza, frocio malato.
Non passo più dove lui sosta, faccio il giro lungo, perché l’ultima volta mi hanno afferrato, lui e i suoi amici. Si sono divertiti. Sono rimasta nuda per terra.
Ho pensato di conficcargli le unghie, di lasciargli un po’ di saliva addosso, in una simulazione di orgasmo.
Poi non ho fatto niente. Potrei andarmene, tornare a casa, sono stanca.
E se poi si attarda fuori?
Potrebbe riconoscermi.
Meglio di no. Rimango qui, ancora un po’, anche tutta la notte.
Giorgio D'Amato