L’oriente
del mondo ha costruito sul riso la sua civiltà, ne ha ricavato ogni tipo di
cibo, bevanda, oggetti d’uso comune e non comune, carta, vino, polpette.
Il
riso noi in Italia lo conosciamo soprattutto nella sua forma di risotto alla
milanese, di sartù e di arancini, viene coltivato nella pianura Padana, tra
Vercelli e Novara e Pavia, con grande dispendio di energia umana, di acqua e di
zafferano.
Alcuni
studiosi del riso ritengono di fissare il luogo d’origine di questo cereale
idrofilo nelle terrazze paludose delle colline intorno al fiume Jang-tse. Altri
sono convinti che un luogo d’origine non sia sempre così scontato. Ci sono
esempi di attori di cinema nati in un paese, che hanno raggiunto la fama in un
altro paese e tutti per questo motivo pensano che siano originari del secondo
paese, quello della fama, e anche molti anni dopo la loro morte continuano a
pensare la stessa cosa. Questo tipo di deformazione geo-cinematografica è più
diffusa di quello che si pensi, ma non è il tema di questo pezzo.
Il
problema della collocazione geografica semmai si pone a causa del fatto che
permangono attriti e attribuzioni errate riguardo al riso e alla sua area di
produzione, tanto che esistono popolazioni che non ne fanno uso per partito
preso, offese dalle continue modifiche di attribuzione.
I
grandi consumatori di riso, che noi identifichiamo con gli orientali in genere,
in realtà non lo conoscevano come alimento, ma usavano i chicchi per segnare i
numeri sulle cartellette della tombola. Dopo i primi decenni di tombola, però,
i cinesi hanno cominciato a guardarsi intorno e alcuni di loro in visita a
Milano hanno scoperto che il risotto allo zafferano con gli ossibuchi era un
piatto molto in voga. Cosa fare, si chiesero allora i visitatori cinesi, di
certo non staremo a guardare mentre un piccolo paese a forma di stivale si
riempie la pancia di riso e noi ancora aspettiamo di fare un terno o una
cinquina a tombola. Nasce così l’idea tutta cinese di produrre il riso falso,
con una miscela inerte di amido e colla vinilica e qualche sostanza
stabilizzante, insomma in tutto e per tutto identico al riso vero di Vercelli e
Novara, che neanche una mondina avrebbe potuto smascherarlo. Una faccenda dai risvolti
oscuri, perché le tonnellate di riso prodotte e invendute in Italia presero il
largo su navi mercantili dirette in oriente, per una beffa del destino andarono
a riempire le cartellette della tombola cinese.
Nelle
case lombarde, il nuovo riso venuto dalla Cina prese subito piede a causa del
suo prezzo molto inferiore al tipo italiano, ma le prove di risotto non diedero
i risultati sperati, i chicchi cominciarono a saltare sul doppio fondo delle
casseruole e si trasformarono in fiocchi esplosi di riso, pallottole gonfie e
croccanti che del morbido risotto mantecato non conservavano neanche l’odore.
Riso soffiato, lo chiamarono, nel senso di rubato, consci della situazione
d’imbarazzo che si era creata. I cinesi se la spassavano intorno a un tavolo
giocavano a tombola e talvolta pure vincevano la quaterna o la cinquina, gli
italiani si ritrovarono le pentole straripanti di palline leggere.
Per
fortuna l’italiano è uno che non si perde d’animo, un pasticcere piemontese di
passaggio da amici in un locale di Milano, rimase colpito da quel riso leggero
e scoppiettante, ebbe l’idea di mescolarlo con il cioccolato al latte e ne
ricavò delle barrette. La barretta di riso soffiato e cioccolato adesso ha sostituito
definitivamente il risotto allo zafferano, anche i cinesi ne vanno matti e ne importano
enormi quantità da sgranocchiare durante le serate invernali di tombola.
Raimondo Quagliana