Caterina sapeva combattere la solitudine incrociando le dita, le mani e proiettando le ombre. Posizionava la luce a suo piacimento, chiudeva la porta e restava da sola; per poco. Metteva un lenzuolo sopra la testa come a nascondersi, poi faceva venire fuori un mondo da due mani; se le baciava, le annusava, si chiedeva come gli altri non riuscissero ad avere anche loro un mondo dentro le mani. Le falangi diventavano uccelli, i palmi farfalle, e piante, alberi, scoiattoli, serpenti, mostri e angeli. Se rideva: tutto scompariva, la parete tornava di nuovo bianca e Caterina di nuovo sola. Ma bastava accarezzare la luce, e tutti ritornavano lì.
Aveva iniziato a parlare con le sue ombre Caterina, alcune erano diventate perfino sue amiche.
“Esci fuori Caterina,” – “Il pranzo è pronto!”
E Caterina ritardava un po’.
“Dai, Caterina. Siamo tutti pronti,” – “la nonna ci aspetta.”
Dieci minuti d’attesa.
“Caterina, stiamo andando al mare. Pronta tra trenta minuti,” – “va bene?”
“Caterina, Charlie! C’è Charlie fuori la porta,” – “che fai?”
“Caterina, mancheremo due giorni.”
“Caterina?”
Non rispondeva più. A sedici anni se non rispondi è perché non ti va, hai meglio da fare, e magari qualcosa di meglio di questo mondo lo hai anche trovato. Rimani chiusa, ma è come se avessi il mondo che ti serve con te, e Caterina il mondo lo aveva nelle mani. Un lenzuolo a coprirle la testa e il resto di luce, accesa solamente per dar forma alle ombre;
che a volte sono solo ombre e a volte sono di più: sono persone che non hai, paesaggi che non conosci; diventano senso, hanno un senso diverso, più bello dell’esterno, dove non occorre tornare se hai trovato tutto, tutto ciò che occorre dentro una camera; il mare, Charlie, e anche la nonna Anna. Ma quando Caterina iniziò a proiettare il cibo: no; quello non bastò più. Caterina non lo capiva, non capiva più cosa fosse reale e cosa no. Era così: come tutto il resto: nel muro, in quella spettrale tonalità di grigio, che non diventa mai nero, come non diventa mai bianco. E nemmeno reale. Caterina si divertiva, piangeva a volte, e si saziava. Si saziava anche. Non arrivò neanche a diciotto anni. La luce si è spenta. Si è spenta tutta la luce.
E ogni cosa fu finalmente ombra.
Così, come per lei era sempre stato.
“Vero, Caterina?”
“Sì,” – “tutto è ombra.”
Alessio Castiglione