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mercoledì 23 aprile 2014

Fiori in lattina

Ogni mattina mentre il sole sorge lei va a trovarlo. È un lungo tragitto, ci mette quasi un'ora, ma per fortuna c'è quell'autobus, il 603, che passa proprio davanti alla sua persiana nel borgo marinaro e si ferma poco dopo il cimitero. È lì che lui riposa, da dieci anni.
Dieci anni in cui ogni mattina lei ha preso quell'autobus. Una volta è bianco con i sedili azzurri, una volta è arancione sia dentro sia fuori, una volta non si apre la porta davanti, una volta non si apre la porta dietro. E hai voglia a urlare "bussola" al conducente. Se non si apre, non si apre.

Ogni mattina aspetta l'autobus seduta sulla sedia davanti a casa. Sale sulla prima corsa del mattino. Non ha una borsetta. Porta con sé soltanto qualche fiore raccolto nelle sue aiuole. Li sistema in una lattina vuota e scolorita di passata di pomodoro. Poca acqua, così che non coli lungo il tragitto. A casa di quelle lattine ne avevano moltissime: era la pasta preferita di lui, corta e con un bel cucchiaio di caciocavallo grattugiato a impiastricciare il cucchiaio.
Veste sempre di nero, tranne a Pasqua, e il rosso scolorito dei capelli (dal parrucchiere soltanto a Pasqua) combina a perfezione con l'immagine del lutto. Gli autisti ormai non la guardano nemmeno più. È una presenza come un'altra. Non ha mai obliterato un biglietto, nessuno sa se possiede un abbonamento. Anche i controllori la conoscono: quando salgono la salutano sfiorando appena il cappello di servizio "Buongiorno signora". Lei risponde con un sorriso appena accennato e riprende a guardare fuori. Quando lei sale, nell'autobus praticamente vuoto, prende sempre posto vicino alla porta anteriore e si mette a guardare fuori dal finestrino. Nei giorni di sole i riflessi della luce, nei giorni di pioggia il grigio senza confini. Pensa a cosa deve comprare prima di rincasare, la spesa del giorno; aggiusta un fiorellino che per via di una buca più profonda stava per volare fuori dalla lattina. L'aveva lasciato troppo lungo, ma le era parso peccato tagliarlo troppo corto: già che lo stava uccidendo, ci mancava pure che lo privasse della sua bellezza e della sua grazie.
Non c'è nemmeno bisogno che prenoti la fermata. Gli autisti ormai sanno dove fermarsi. Lei scende, attraversa la strada, imbocca il vialetto centrale, terzo corridoio, sez. 613. Dice "Buongiorno a te", posa la lattina sulla tomba, prende quella del giorno prima, un Ave Maria, un Eterno riposo, "A domani" e via a casa, aspettando l'autobus alla fermata, lo stesso numero, che la riporta indietro.
Nei giorni di sole c'è sempre un po' più di gente diretta al mare, ma un posticino lo trova sempre. Non importa se riesce a guardare fuori dal finestrino: a quell'ora sta già pensando alla spesa da comprare, pane bianco o integrale, un panino o un bocconcino, pasta corta o spaghetti (come piace a lei!), broccoli o scarola, insalata o minestrone. Tutto rigorosamente per una persona e per un solo giorno. E domani, di nuovo così. 
Poi un giorno il Comune approva il nuovo piano traffico. Quell'autobus, sempre semi vuoto, viene tagliato, cancellato. Riorganizzazione, spending review. Per raggiungere quello stesso punto dalla sua casa sul mare di autobus adesso ne servono tre. Ma alla sua età!
Non leggeva i giornali e non accendeva la tv, così non ebbe  nemmeno la possibilità di saperlo in tempo, per poter salutare suo marito un'ultima volta. Una mattina attese invano, e ancora l'indomani, e così per una settimana. Poi chiese, timida, al fruttivendolo, che senza troppo tatto, tra un impropero per il Comune e uno per lo Stato, le spiegò come stavano le cose. 
Tornata a casa, prese la lattina di salsa che ogni mattina aveva preparato per lui e la poggiò sul davanzale della finestra. Ogni mattina la riempiva di fiori freschi. Tutto qua. Semplicemente.

Maria Teresa Camarda