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domenica 1 marzo 2015

AAS VINTAGE - Letteratura low cost: Il Matrimonio riparatore

Cerchiamo quell’ago nel comò, era la frase che diceva Agnese la sarta del paese ogni volta che sua figlia Lucia si lasciava cadere dalle mani l’intera scatolina degli aghi, ed erano ore di ricerca con la calamita dentro i cassetti e sotto il comò, tra le fughe delle piastrelle. Agnese non ci stava più tanto con la testa, da una vita la usava come puntaspilli, e poi si era anche stufata di ripetere alla figlia che avrebbe dovuto sposarsi, senza nessun risultato.
Lucia era mediamente giovanile nonostante i cinquanta passati, timorata a tal punto da non avere mai accarezzato l’idea di accoppiarsi carnalmente con chicchessìa, soprattutto dopo aver sentito dire che alcune volte il concepimento può verificarsi in modo inaspettato, tramite un bacio, un’accappatoio scambiato, una nuotata nella piscina comunale, o addirittura per mezzo della divina provvidenza.

In verità un moroso lo aveva avuto in gioventù, ma l’azione più spinta che si era concessa era stata quella di chiamarlo per nome, dandogli sfacciatamente del tu. O tu, Renzo, diceva Lucia, ma Renzo era un ragazzo timido e mai aveva osato risponderle.
Poca speranza di recuperare il tempo perduto, la ragazza si sarebbe potuta sistemare, con l’aiuto della provvidenza, e invece aveva continuato a chiamare il suo Renzo e nel frattempo s’era maturata. Spasimanti per lei ce n’erano stati diversi e anche di buon partito: Rodrigo per esempio sarebbe stato ottimo, ma Lucia lo aveva rifiutato come se avesse la peste.
La vecchia sarta guardava la figlia, che ormai non era propriamente un fiore, e quel Renzo che con gli anni si era fatto ancora più taciturno, pareva non ci fossero soluzioni, doveva fare qualcosa. 
Una mattina Agnese uscì di casa con fare risoluto e si avviò in parrocchia. Chiese alla perpetua di parlare con don Abbondio, dal citofono la vecchia rispose seccamente di non disturbare perché il curato era malato. Agnese non sarebbe mai tornata indietro sui suoi passi e continuò a suonare il campanello. Chi era costui che citofonava? chiese il don Abbondio affacciandosi dalla finestra. Agnese diede fiato ai polmoni e gridò Signor curato, vengo per dirle che mia figlia Lucia è incinta, così da farlo sentire a tutto il vicinato. Detto questo se ne tornò a casa e aspettò che i fatti maturassero, mentre don Abbondio aveva di nuovo i brividi.
Questo matrimonio si deve fare, dicevano i compaesani al bar, Bravi, rispondevano i presenti. No, diceva un altro, non si può essere sicuri del padre, e se non fosse Renzo? Bravo, gli rispondevano. È scandaloso, il nostro paese non può tollerare una cosa del genere, quando uno guarda una donna poi la deve sposare, è una questione d’onore, Bravo, rispondevano. Insomma, una sommossa generale.
Organizzare il matrimonio riparatore risultò maledettamente complicato, fu necessario invitare un mucchio di personaggi sparsi qua e là tra Milano, Monza, Bergamo. Fu comunque celebrato in grande pompa da don Abbondio, finalmente curato e guarito, Lucia con abito bianco su misura, Renzo sempre più timido e riservato, paggetti e damigiane.
Lucia e Renzo trascorsero la luna di miele in riva all’ago, un viaggio lungo e noioso, dato che il Manzoni a tutto aveva pensato tranne che a un mezzo di trasporto che non fosse il batell. Lucia era inquieta, per tutto il tempo si guardò bene dall’avvicinarsi troppo, aveva paura di pungersi e rovinare tutto.
Fu al ritorno che chiamò a sé Renzo, dandogli del tu come un tempo, gli confessò che la gravidanza era tutta una messa in scena, sua madre l’aveva costretta a nascondere un palloncino gonfio d’aria sotto il vestito. Renzo, a quelle parole, perse la timidezza e s’intenerì, accarezzò la pancia di Lucia, ringraziò la provvidenza per lo scampato pericolo, ma tale fu l’ardore che il palloncino scoppiò, spargendo il disappunto e la peste tra i compaesani delusi.

Ingredienti:
Una madre stufa marcia
Una ragazza timorata attempata
Un ragazzo timoroso maturo
La provvidenza
L’ago

(Raimondo Quagliana - Alessandro Manzoni)