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venerdì 23 maggio 2014

Scusami Giovanni


Scusami Giovanni, ma non sapevo ancora fosse colpa tua. 

Io ce l’avevo con chi mi rovinava il fine settimana, la pizza con gli amici e m’impediva di comprare le scarpe viste la settimana prima. Le avevo sognate per sette giorni interi. Non le avrei avute più, ma non sapevo fosse colpa tua. 
Credevo fossero i soliti lavori ad inizio estate e io e mio marito ce la prendevamo con gli amministratori comunali, capaci, come al solito, di fare le identiche cazzate, del tipo sfossare un’autostrada a fine maggio. 


A Balestrate, quel giorno, non saremmo mai arrivati.
Mentre ero là, inchiodata poco prima delle gallerie, ancora non sapevo.
Eravamo in tanti, una bolgia. Tutti con lo sportello dell’auto aperto mentre qualche notizia, ma solo dopo tante ore, cominciava ad arrivare, troppo imprecisa, troppo vaga, preceduta sempre da un “forse” che confondeva.
Il telefonino, nel ’92, lo avevano in pochissimi.
La radio la tenevamo spenta. Poteva scaricarsi la batteria già con lo sportello aperto. Non si poteva prevedere quando saremmo rientrati in città.
Qualcuno aveva fretta “porca misera perderò l’aereo” sbraitava battendo il pugno sul tettuccio della macchina.
Qualcuno l’aveva preso invece, e sarebbe stato meglio se l’avesse perso. Eri tu, Giovanni.
Dalle tre del pomeriggio rientrammo a casa alle undici di sera.
Noi eravamo rimasti imbottigliati, ma non finiti sotto le macerie.
Era stata questa la nostra fortuna. Ma io ero felice perché ero viva e riabbracciavo i miei cari che avevano gli occhi rossi, le guance solcate da una paura immensa. Avevano telefonato a tutti gli ospedali, alle centrali di Polizia. Gli Ospedali si dicevano in allerta per l’arrivo dei feriti. Si parlava di un numero enorme e impreciso. Confusione, concitazione, notizie senza senso.

L’unica cosa che la mia famiglia, per lunghe ore, avevano saputo era che in paese, noi, non eravamo mai arrivati. Avevano chiamato la vicina e lei aveva risposto: «No, Anna, cca nun s'hannu vistu.»
Con i miei abbiamo pianto tenendoci stretti, tutti insieme, come fanno i calciatori quando vincono un campionato. Avevamo corso un pericolo enorme, inaspettato. Eravamo stati fortunati, miracolati, noi.
Tu no. Per questo adesso, dopo tanto tempo, ti dico, scusami Giovanni.
Non ho pensato a voi, o perlomeno non con la sofferenza che avreste meritato e che ho provato dopo, giorni dopo, quando finii di raccontare la mia presa diretta, quando la smisi di narrare l’evento del quale ero stata una semplice comparsa dentro una tragedia immensa o parte di un miracolo mal riuscito.

Adelaide J. Pellitteri