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mercoledì 18 giugno 2014

TRILOGIA BOVARY: Essere Emma

“C’è sempre un desiderio che trascina e una convenienza che trattiene”
Scrivere di lei, di Emma è improponibile.
Flaubert impiegò vent’anni per creare questo essere singolare in un ambiente puritano e bigotto di una Francia provinciale del primo ottocento. Aveva osato forse troppo creando Emma.
Il pubblico dell’epoca non capì né amò subito la sua storia tormentata e complicata, assimilata a quella delle più scabrose cocottes.

La censura poi non tardò molto a sentenziare l’amoralità dell’opera e della protagonista, oscena e spregiudicata  contro la famiglia, la religione e la Nazione tutta. In un piccolo centro di provincia, dove tutti si conoscono e si chiamano per nome o per titolo professionale, solo chi si vuole perdere, può perdersi.
Il divario però tra il bene e il male è più corto del percorso tra il municipio e la farmacia, per non parlare del divario tra sogno e realtà che invece restava e resta misurabile in migliaia di leghe, in chilometri infiniti.
La vita di ognuno in provincia è simile a quella del vicino di casa, anche la abituale preparazione delle marmellate diventa attività comune, tutti vi si dedicano nello stesso periodo e lo stesso giorno;  ogni piccola novità è diramata porta a porta e non si corre nessun pericolo, almeno così sembra, se non s’infrangono le convenienze.
Ma le notizie corrono veloci, senza bisogno di strilloni, bastano le finestre,che sostituiscono ricerche e denunce. Può sempre avvenire la morte improvvisa del vecchio zoccolaio che infilzava l’ultimo chiodo, o ancora quella del pecoraio fulminato sul sentiero di campagna, attardandosi troppo con il gregge e i suoi bisogni quotidiani con la mugnaia. O per finire potrebbe propagarsi l’episodio della donna attaccata ad un malleolo da un cane rabbioso per aver perduto la sua cagna preferita. Nessuno però ha precisato se a due o a quattro zampe.
La più inaspettata di tutte sarebbe stata la dipartita del buon bottegaio (Lheureux) inghiottito o dolcemente soffocato dalle sue stesse stoffe, maneggiate da un’abile acquirente inguantata e insofferente agli usurai di soldi e di sentimenti.
Emma, bella e amante del bello e dei belli è indifferente ai fatti e misfatti di ordinaria quotidianità paesana, è insofferente agli obblighi familiari e casalinghi: le crochet, le sonate per il marito e la figlia, per giunta tutta somigliante al padre e di conseguenza non carina. “Quanto è brutta questa bambina” dirà lei stessa.
Come può riempire la giornata? Con il pettegolare della balia, della domestica o del farmacista? Con i fondati timori e dubbi dell’arcigna suocera, che la teme come nuora appetitosa per suo marito e la considera  indegna consorte di suo figlio? Togliendo le ore di sonno e di riposo, le altre per il pranzo, cena e colazione; ne restano troppe da riempire con i soliti pensieri e incombenze del giorno.
Come fare a essere e restare Emma?
Inventarsi un’alternativa, una vita parallela, forse “male style”, perché essere donna non è stato mai impresa facile né nell’Ottocento, né oggi.
Essere donna sentimentale, bella, con l’aggravante di essere anche sognatrice, in preda a mille emozioni, ma incompatibile alla disciplina, può diventare un fardello ingombrante, di certo molto pesante per chiunque, anche per il suo “creatore” letterario.
La sua femminilità prorompente, sminuita, avvilita dall’entourage, meschino e maschilista confluisce in un’esistenza mascherata d’incontri casuali, sognati o semplicemente sollecitati, di trabocchetti e travestimenti, al solo scopo di dispiegare tutta la forza vitale e poi distruttiva di una personalità senza identità, se non quella di figlia prima,  ben educata dalle Orsoline, e poi alternativamente di moglie, madre e amante.
Ma una donna come Emma è ben altro ancora. E’ un divampare di amore senza destinatario preciso (“non chiedeva che di potersi appoggiare a qualcosa di più positivo dell’amore”). Un pulsare generoso di sentimenti fino al loro totale esaurimento. Finiranno ben presto tutte le sue risorse emozionali ed economiche, contemporaneamente o quasi.
E’ un creare tendenze, mode che anticipano i  suoi tempi angusti.  La morte sembra, al suo creatore, l’unica soluzione plausibile, l’eroina si sacrifica sull’altare delle rinunce. Senza un dio, senza un cielo stellato, senza più musica né note o notti magiche, non ha più ragione di esistere.
Emma voleva volare libera come L’Albatros di Baudelaire ma ne era ostacolata, come tutti gli esseri che hanno ali troppo grandi che impediscono persino di camminare.
“Ma in quale modo avrebbe potuto descrivere quel malessere vago che mutava aspetto come le nuvole o che turbinava come il vento? Le mancavano le parole, l’occasione, il coraggio.”
Non mancavano a Emma ma al suo non essere Emma, a Flaubert per intenderci, “chi sogna trova le parole, chi vive le perde o non le ha mai trovate” o sapute trovare pur essendo un inventore di parole, uno scrittore che per giunta diverrà famoso.
Maria Letizia Mineo