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giovedì 4 dicembre 2014

Cannolicchio

Ricordo perfettamente il giorno in cui il mio caro frigorifero entrò in casa.
Conoscevo Vito da appena tre settimane. Decidemmo subito di vivere insieme.
Era la voce solista di una band, mollai il mio lavoro perché mi portava sempre lontano.
Prendemmo un bivani arredato centro città.
Di una sola cosa la casa era sprovvista, un frigorifero.
Con l’entusiasmo di due scolari in gita, ci avviammo verso il centro commerciale per acquistarne uno. Cominciammo a camminare per i corridoi e li guardavamo e ci sembravano tutti belli. Per la prima volta scoprimmo di avere delle idee ben diverse.

Vito era attento alle caratteristiche tecniche: funzione supercool/turbocool, temperature da mantenere per raggiungere prestazioni ottimali, eco/oko per economizzare i consumi…
Io ero attratta dalla varietà dei colori, dal design e dalle riproduzioni degli alimenti riportate sui cestelli.
Cominciammo a conversare accesamente, fu estenuante. Il commesso era furioso. Alla fine lui superò la selezione: bello come un principe azzurro, bombato, fianchi dalle linee morbide, ripiani da carezzare.
Lavorò sodo soprattutto nei primi otto mesi di convivenza. In quel periodo era sempre stracolmo di lattughe, rucola, pesce spada affumicato, patè di tonno, sciroppo d’acero, fragole, panna.
Gli mettevo dentro pure il reggiseno.
Poi cominciò a svuotarsi, così lui così la mia vita. Vito era sempre più assente, preso da impegni lavorativi che lo portavano a rientrare tardi, tardissimo, a non rientrare affatto. Io mi sentivo sempre più sola.
La mia giornata passava girovagando in quarantacinque metri quadri, passando dal letto al divano e dal divano al letto. 
Capitava che spesso ero assopita, stravaccata in attesa che succedesse qualcosa. Talvolta staccavo il telefono, benché non suonasse già da tempo. Mi circondavo di silenzio. 
Lui era lì, tondo di fuori ma vuoto dentro. Conteneva solo delle bottiglie di limoncello. Le bevevo io.
Fu un pomeriggio che sentii un piccolo rumore, dovevano essere le vibrazioni dei tubi posti nella parte posteriore. Lo guardai con occhi diversi. Sulla porta del comparto congelatore c’era una curva, una strana curva che pareva sorridermi. Uno smile. Gli sorrisi anche io e pensai come sarebbe stato bello ficcare dentro il primo cestello quel carciofo di Renato, sì, il collega di stanza di Vito. E che dire di quella testa di capra di Luciana, la segretaria personale del capo di Vito…baldracca. E quella testa di zucca della mia vicina, la gran signora Civitello. O quel porro di Ugo, sì, pure lui, Ugo, il ragioniere precisino. Nel secondo cestello avrebbe trovato posto quella testa di capra di Luciana, l’amica del cuore di Vito, quella che sa tutto di lui, Luciana…mi ha sempre odiato quella. Ma anche Agnese, la lingua biforcuta, la cugina, anche lei dal cuore. Che cuore grande…
Nel terzo cestello i compagni di scuola, il gran cervello rammollito di Paolo, quel baccalà di Sergio, quella bavosa di Chiara, quello scorfano di Totò. Ci sarebbero stati comodi, tutti insieme. No, un po’ di spazio  sarebbe avanzato per, e perché no?, per quel cannolicchio del mio Vito. Sì, pure lui.
Soddisfatta della mia vendetta immaginaria sfiorai, ad occhi chiusi, la porta del comparto e la baciai.
Indossai un vestito aderente,  presi la borsa e con passo deciso uscii da casa e mi avviai verso il mio vecchio pianobar.

Elisa Giacona