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martedì 13 gennaio 2015

Sawadee

Hai visto come ci ha salutati? Le hostess dell’Alitalia manco ti guardano per sputarti in faccia. Queste no, io ci impazzisco, hanno un  sorrisetto chiaro e trasparente, ti dicono Sawadee! ma ti fanno capire che ci stanno. Non ti pare pure a te?
Certo che le donne tailandesi sono proprio delle gran…
Gran mignottone! E dillo pure. Ma sono speciali, hanno quel certo non so che di malizia ma anche di candore. Piuttosto hai fatto caso che nell’aereo siamo tutti maschi? Non c’è una donna manco a pagarla a peso d’oro. Guardali come sono beati.
Io più che beati direi svuotati.
Come ti chiami?
Andrea.

Io Sergio. Andrea, in questo posto si viene solo per fottere. È inutile fare filosofia, qua dentro uno che ha visto un museo o una chiesa, ma che vuoi che ti dica, un palazzo, non c’è. A Bangkok ce ne sono di belle cose, io qualche tempio l’ho visitato. Ma mi scommetterei pure la testa di mia madre se uno solo di questi magnaccioni ha messo la testa fuori dall’albergo. Ti sei messo la cintura? Io atterrerei cinquanta volte al giorno ma il decollo, quello non lo sopporto proprio. Ti stavo dicendo, li vedi questi? Non hanno messo il naso fuori dall’albergo. Ci pensa l’organizzatore. Tu stai in camera, mangi, bevi, al decimo piano c’è la piscina e vai a farti il bagnetto, poi quando ti gira scendi al settimo dove si trova la jacuzzi con l’acqua calda e quella con l’acqua fredda. Ti prenoti e fai la sauna oppure i massaggi. Praticamente dall’albergo non si esce. E d’altra parte, chi te lo fa fare andarti a beccare quaranta gradi con una umidità che non riesci nemmeno a sudare? E poi c’è l’organizzatore che pensa a tutto, ma proprio a tutto. Una telefonata e ti arriva in camera un pezzo di burro con un cestino di orchidee che ti fa vedere la fine del mondo. Ragazze una più bella dell’altra. D’altra parte è successo questo pure a te.
Ci hai indovinato. Io di Bangkok conosco solo dieci fregne profumate ed il Wat Arun solo perché mi ci hanno trascinato ma sarei rimasto volentieri in piscina o a farmi massaggiare le piante dei piedi.
Io ti devo dire che all’inizio ho fatto un po’ la vita che ti ho descritto, poi mi sono rotto e me ne sono andato in giro per la città, attorno all’albergo, nelle strade parallele, io l’inglese non lo conosco, figuriamoci se mi fossi perduto chi è che doveva riportarmi a casa. E comunque, stavo camminando quando vedo un baretto, sai, una specie di bettola con un banchetto che vendeva la coca cola. Io più di quella qua non bevo, figurati se intendevo prendermi la cacarella con certe bevande che loro vendevano, cose imbottigliate in Cina o chissà dove. Stavo indicandogli la lattina di coca cola per fargli capire cosa volevo quando un tizio che ha riconosciuto che ero italiano mi chiama e mi fa cenno di entrare in una specie di postriboletto con quattro divani rossi dell’era di mia nonna e altri due italiani, uno di Milano e l’altro del Veneto che erano circondati da ragazzine che gli massaggiavano le spalle mentre quelli bevevano  non so che. Ho salutato quei due e gli ho chiesto come funzionava la cosa. Mi hanno detto che il massaggio era gratuito e ti serviva per capire chi ti piaceva, poi ne sceglievi una, due, tanto con quello che costano certo non ti potevi rovinare, e salivi sopra in camera. Io non ho voluto esagerare, ma con venti euro me ne sono portate tre di sopra, tutte roba di dodici, tredici anni, carne fresca fresca con certe zinnette appuntite da volergliele strappare a mozziconi. Hanno fatto tutto loro. Mi hanno fatto sdraiare su un tappeto, mi hanno abbassato la cerniera e si sono messe a slinguettare che era un piacere. Poi ad un certo punto ne ho preso una e me la sono fatta di davanti e poi di dietro, e poi un’altra ancora. Mi sono proprio divertito e ti dico che ho speso pure la metà rispetto a quella che mi mandava l’organizzatore. Il fatto è che se ti giri un poco, scopri roba migliore e a costo più basso. Io, la prossima volta che  torno qui, mi organizzo tutto da solo, altro che operator a tutti soldi. Mi prendo un alberghetto e mi faccio l’abbonamento nel baretto dove sono stato. E non ti ho detto tutto. Scendo dalla stanza e il padrone del baretto mi dice delle cose in inglese, io francamente non ci capisco niente di questa lingua, mi arrabatto ma giusto per l’essenziale. Fortunatamente c’era sempre quel milanese che stava a pomiciare con un paio di fringuelle e mi ha spiegato che l’indomani c’era l’asta. L’asta? Gli ho detto io. Per farla breve l’indomani prendevano una ragazzina ancora vergine e la davano al miglior offerente. A me non è che certe cose piacciano però ho pensato che questo postriboletto mi piaceva più della solita ragazza che sale in camera. C’è più atmosfera. Non ti dico il sudiciume però hai la sensazione che vivi con la realtà locale, con la gente, con i suoi modi di fare. 
È una cosa più reale, non è come gli alberghi che vai in America o vai a Parigi sono tutti uguali, con le stesse scale, gli stessi lampadari. A me mi piace il contatto con le persone, vedere i loro sorrisi, come vivono, cosa mangiano, dove stanno. L’indomani ci sono tornato. C’erano almeno una decina di italiani tutti lì ad aspettare che l’asta cominciava. Ehi, portano già da mangiare. Io di questo posto una cosa sola non sopporto, tutte queste porcherie fatte con il cocco, con le noccioline americane. Ma le hai viste le cavallette fritte che le vendevano per strada? E certi scarafaggi? Io in albergo ho preteso che mi facessero la pasta. Me l’ero portata nella valigia. Avevo cinque chili di spaghetti. Aglio e olio, non potevo morire di fame. E ho rimediato pure un poco di parmigiano. Ti stavo dicendo, tutto un giro di ragazzine che toccavano piedi, che toccavano spalle e che facevano segno di andare sopra. Io mi sono seduto e ne avevo una che mi leccava un orecchio mentre un’altra mi stava a massaggiare le gambe. Finalmente arriva la vergine. Portano una bambina tutta abbindolata con l’abbigliamento tipico, truccata, con tanti nastri colorati, proprio una  bella pupetta. Hanno chiamato pure uno per costatare che fosse vergine. Io ho pensato, Sergio, un’occasione come questa quando ti capita. Alla prima alzata di mano un napoletano ha proposto venti euro, io subito ho fatto trenta. Uno con l’accento torinese ha rilanciato a trentacinque. Per farla breve me la sono assicurata per centoventi euro. Che ti posso dire, è una bella cifra però. Porca miseria che botta, ma che è? Pare l’ira di Dio!
Sarà un vuoto d’aria.
Sembra di stare guidando al prenestino! E allora, vinco l’asta con centoventi bigliettoni. Mi fanno salire in camera e mi hanno portato la ragazzina. All’inizio strillava un poco, poi sono venute altre due ragazzine e l’hanno consolata. Io mi sono messo per terra, loro si sono messe sedute buone buone   e con il cosetto,  tocco io e tocchi tu, un bacetto di qua e un bacetto di là, pareva che stessero a giocare con la Barbie. Finalmente quella  ha smesso di lagnarsi, si è convinta e gliel’ho messo dentro. Ti dico che quei centoventi euro mi sono costati ma glieli benedico tutti. Io qua ci torno, pure una settimana, che dico, pure quattro giorni, ma io  prima di Natale un’altra scappata da queste parti me la faccio. Ma guarda un po’ che cibo! Io non ho il coraggio di assaggiare niente. Faccio un po’ di sacrificio e mangio a casa una bella carbonara. Mi piglio solo il panino con il burro. Un’altra botta! 
Pare che ci sia turbolenza.
Questa non è turbolenza, è il diluvio universale. 
Un attimo, fammi ascoltare.
Non mi fare preoccupare, che dicono che non ci capisco niente?
Subito, attacchiamoci le cinture e poggiamo i vassoi sotto il sedile. Dobbiamo stare abbassati. Per un motivo tecnico faremo un atterraggio di emergenza  in un posto che non ho capito bene come si chiama.
Perché hanno spento la luce?

Giorgio D'Amato