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giovedì 4 giugno 2015

Attorno alla Vucciria

Da qualche minuto Antonio Manca ha iniziato a presentare la Vucciria, il famoso quadro di Guttuso esposto nella sede del rettorato dell’Università di Palermo, a un gruppo di turisti milanesi che lo ascoltano in religioso silenzio e con gli occhi umidi di commozione per le meraviglie dipinte sulla tela.
Come fa spesso per alzare il livello di attenzione degli spettatori, anche se in questo caso chi racconta non crede affatto che ce ne sia bisogno, decide di giocarsi subito uno dei punti forti della sua esposizione:
- Anche Camilleri ha espresso la sua idea sul quadro, affermando che un narratore, ispirandosene, avrebbe di che scrivere fino alla fine dei suoi giorni. E in effetti …
- Biii, fino alla fine dei suoi gioorni! Sempre esagerato è questo Camilleri. - dice qualcuno a voce alta.

L’esperto d’arte si guarda un po' intorno, allunga il collo, si alza anche in punta di piedi per individuare chi ha pronunciato quelle parole: si aspetta che qualcuno si faccia largo, o che alzi la mano per farsi individuare in mezzo agli altri, ma non accade né l’una né l’altra cosa.  
In effetti, a pensarci bene, l’accento marcato che ha sentito e che ha interrotto la sua dissertazione, sembrerebbe escludere che a parlare possa essere stato uno di Milano: la cadenza è decisamente quella locale. Suppone perciò che qualche palermitano si sia infiltrato nel gruppetto, oppure che incuriosito lo abbia seguito e si sia poi lasciato scappare quel commento un po' vivace.   
Riconta allora le persone: quindici sono, tante quante erano all’inizio della visita allo Steri, tante quante ne ha avute affidate dall’agenzia turistica che lo ha contattato il giorno prima. E accorgendosi che nessuno degli astanti sembrerebbe aver udito nulla - su questo non potrebbe giurare, ma lo deduce dal fatto che nessuno di loro ha cambiato minimamente la sua espressione di commossa meraviglia - decide allora di riprendere il commento dal punto in cui la voce lo ha interrotto.    

- … in effetti, dicevo, il quadro è così pieno, così affollato di vita - anche se di vita recisa - da non presentare praticamente spazi vuoti, ridondante com’è di cibo, probabilmente a buon mercato, di carni, di pesce, di verdure della terra: chi ha studiato a fondo l’opera ha contato un’ottantina di prodotti esposti. E potremmo ancora aggiungere: così animato di persone, costrette quasi tutte in quel cunicolo come lo chiama lo stesso Guttuso, in quel passaggio stretto dove è impossibile ignorare un altro compratore che lo percorra in senso opposto, dove devi per forza tenere conto dell’esistenza altrui. Non ha ragione allora Camilleri a dire che si potrebbero intessere storie e intrecciare destini all’infinito?
- Ma piffavuri! E poi, anche quando, che storie scimunite si potrebbero mai scrivere per questi quattro gatti che si vedono?

A questo punto Antonio Manca mette da parte l’aplomb che lo ha distinto in ogni circostanza, e si incazza per davvero.

- Ma insomma! E’ intollerabile! Chi è che sta parlando?

E mentre sbotta, il suo cervello dicotomico cerca di dare un senso a quelle inopportune interruzioni:  
- C’è qualcuno che ha deciso di boicottare la mia presentazione: o è qualche pazzo scappato che è venuto a scassare i cabbasisi, oppure è “Palermo Ti Guida” che vuole gettare del discredito sulla mia, di associazione.
   
- Calma professò! Sono io, sono il quadro. Stia tranquillo che gli altri non mi sentono, anzi non sentono neanche a lei quando mi parla, perciò si rilassi: è da un po' di tempo che volevo scambiare quattro chiacchiere con lei.

Certo che si calma, certo che si rilassa se a chiederglielo è nientemeno che un quadro di tre metri per tre, anche se Antonio Manca, esperto d’arte e guida turistica che parla correttamente tre lingue, ne avrebbe abbastanza di motivi per essere nervoso: e non per l’esercizio della sua professione in senso stretto, ma ad esempio per l’enorme ritardo con cui gli pagano i servizi, o per gli scippi sciagurati che minacciano gli omeri pallidi delle anziane inglesi che attraversano corso Vittorio pensando di trovarsi a Piccadilly, o per le gincane studiate a tavolino tra le viuzze del centro storico per evitare l’olezzo dei cassonetti traboccanti di spazzatura.  
Non pensa minimamente alla possibilità, che invece dovrebbe quantomeno prendere in considerazione, che possa trattarsi di un trucco, di un imbroglio. Niente, si fida istintivamente di quella voce che un po' lo prende per il culo, e gli risponde pure:

- Ah, mi fa piacere, mi fa davvero molto piacere! Non capita tutti i giorni di trovare qualcuno che ne sa più di te su un argomento, e siccome io su queste cose mi ci guadagno il pane, posso approfittarne per apprendere qualcosa che magari in pochi sanno? 
- Ma certamente, professò! Io per questo mi sono presentato: sono anni che le vedo fare le visite guidate, e pur riconoscendole una certa bravura e competenza, mi fa male sentirle raccontare ogni tanto qualche min… imprecisione!
- Ah, dunque ne dico! Benissimo, e potresti farmi, per favore, qualche esempio?
- La servo subito, professore: a quanto ho capito in tutto questo tempo, anche lei si schiera tra quelli che sostengono che Vucciria nasca da un termine francese. E mi può anche stare bene! Ma lo sa che invece il maestro non fu mai d’accordo e pensava invece che era proprio per via delle abbanniate, della confusione, della voceria tra venditori e compratori? Perché dire il contrario, quando lui non lo ha mai dichiarato?
- Ma che dici, quel quarto di bue appeso è messo in primo piano apposta: l’etimologia autentica è quella del francese boucherie, cioè macelleria, è così chiaro che lo hanno accettato pure le balate del mercato.
- Le risulta che il maestro fosse di destra, professore?
- Non capisco adesso cosa c’entri questa domanda, ma ti rispondo ugualmente: no, direi di no, anzi assolutamente no.
- E allora perché avrebbe dovuto dipingerla a destra la verità? Quella carne appesa è morta, la vacca è ormai defunta, amen, non conta più. E’ sull’altro lato, è a sinistra che c’è la risposta, con la confusione di tutto quel pesce, più vivo ancora di quando nuotava in mezzo al mare: li ha visti tutti quegli occhi ancora aperti, lo ha sentito l’odore del mare che ancora si sprigiona? E infine, ancora, li ha mai ascoltati i pescivendoli abbanniare tutti assieme, professò? Non le sembra che questa cosa, anche da sola, possa già giustificare il nome del mercato? O ne ha parlato tanto senza esserci mai stato veramente?
- Ma tu guarda che impertinenza!
- Mi scusi, dicevo tanto per dire, professore, non si offenda! La conosco da tanti anni e so che non potrebbe essere mai. Era per tirarle fuori un po' di vitalità: penso che le farebbe bene essere più sanguigno, e non solo nel suo lavoro, se posso permettermi.
- Guarda, io ancora non ho capito perché ti do ascolto, ma oramai mi sono talmente sputtanato davanti a questa gente - e chissà cosa mi inventerò per non farmi buttare fuori dall’associazione - che vorrei arrivare almeno a capirti. Tu ti ritieni depositario di tutte le verità, anche di quelle che non appartengono al tuo spazio bidimensionale, solo perché sei stato dipinto da Guttuso?
- Ma quando mai: na cosa rissi! Le chiedo scusa, non ci pensi più, come non detto, professore.

Silenzio: finalmente!
Antonio si riprende un po' dallo sconcerto, e ricorda il motivo per cui si trova lì. Si volta indietro a guardare il gruppo di turisti: sono tutti ancora a bocca aperta, con quella meraviglia dipinta sulla faccia: possibile che non si siano chiesti cosa avesse fatto lui per tutto questo tempo, voltato verso il quadro e senza dire nulla?
Ci sarà davvero un incantamento che tiene tutti prigionieri in quella sala, compreso il quadro che ha parlato per qualche minuto, e che adesso sta di nuovo zitto. Non sa dire se gli dispiace.
Cerca di ricordare il punto in cui si è interrotto, e proprio mentre sta per riprendere il filo del discorso, riecco la voce:

- Mi scusi, un’ultima cosa professore, poi torno per sempre nel silenzio. Vogliamo parlare di quello che c’è al centro del quadro?
- Il centro? A cosa ti vuoi riferire … ? - chiede il Manca a cui viene di chiamare per nome il suo interlocutore: ma come fa a chiamarlo Vucciria? Resta perciò con la frase un po’ in sospeso.
- Ma a quella donna naturalmente, quella che qualcuno ha definito “dalle chiome brune e dalle gradevoli forme”, quella che regge i due sacchetti della spesa.
- Ah si, quella di spalle. Effettivamente è una descrizione molto calzante.
- Professore, quello è un culo come ce ne sono pochi, e non solo tra i quadri di Guttuso! E dico anche che si meriterebbe ben altro che il centro del quadro: io dico che potrebbe candidarsi seriamente ad essere il centro del mondo.
- Ma smettila, che esagerato! Si ammetto che sia gradevole a vedersi, ma non più di tanto poi alla fine.
- Professore guardi, io ho una certa esperienza, mi sono fatto una certa cultura sull’argomento: il maestro ne ha dipinti cosi tanti, e quasi tutti nudi, che posso fare dei paragoni con una certa autorevolezza. E dico che questo è il più bello che abbia mai pittato!

Pur sorridendo a questa nuova sortita, Manca pensa che il quadro sta adesso esagerando: ma senza mostrare troppa impazienza dice soltanto:
- Adesso ritirati, ti prego, e fammi lavorare: hai detto anche troppo per essere una natura morta con figure. Questo come forse saprai lo confidò a qualcuno il grande pittore. E adesso addio!

Di nuovo silenzio, e nuovamente per pochi istanti; come da voce che si allontani, Antonio sente distintamente:

- Maestro, che peccato: giustu giustu u megghiu cummigghiò?

Giuseppe Pippo Visconti