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mercoledì 23 dicembre 2015

CINICO NATALE - Affronti Natalih


Mi chiamo Affronti Natalih. Con l’acca. Porto questo nome perché ho nata il 25 dicembre. L’idea dell’acca fu di mia madre. L’unica cosa che poté scegliere per la mia nascita e, a quanto diceva lei, una delle poche che poté scegliere in tutta la sua vita matrimoniale.
Lo decise perché voleva che io avessi un nome moderno, tanto a mio padre non è che importasse tanto il nome di una femmina. Dice che quando a mia madre si ruppe l’acqua si erano appena seduti a tavola per il pranzo di natale, che mio padre si mise a bestemmiare perché mia madre buttò una voce che pare che stavano scannando un vitello orfano e per poco a quel mischino non gli veniva una botta di sale. Stava inghiottendo il primo boccone di anelletti afforno e per lo scanto s’affucò. Appena si riprese tra una madonna e tutti i santi che aveva fatto scendere dal paradiso, vedendo che lei aveva bagnato pure in terra, le girò una boffa a rovescia che la fece cadere dalla sedia a quella ‘ntolla, perché gli pareva che si era pisciata addosso davanti ai picciriddri – i miei fratelli maggiori, quattro ne ho: Nino, Antonio, Tony e Antonih (per rispetto a mio nonno paterno, i loro nomi li scelse tutti mio padre) -. Merito di quella caduta se sono zoppa, che disse il dottore che mi fratturai il pirone. Dice che mi ci voleva un’operazione urgente dopo il parto, ma mio padre aveva prescia di andarsi a fare almeno la cena, visto che il pranzo gli aveva andato a cachì. Era la prima volta che non chiamavano la za Fina ‘a mammana per una nascita, ma giornate che sono, magari ci parse male a mio padre andare a inquietare a quella cristiana e andò a dare il culo a quei maledetti dottori. Mala giornata, dice che mio padre si sciarriò con tutto il reparto di ginecologia e striticia, ché a mia madre quelli se la volevano tenere almeno una notte dopo che sono nata, ché dice che rischiava morraggie, cose così, e che io c’avevo l’itter. Ma mio padre lo sa che i medici fanno scantare le genti, ché solo perché hanno una gabbanella bianca e quattro palore complicate, si vogliono girare i poveri ignoranti come gli pare e piace. Invece mio padre, dopo che ho nata, aspettò che la infermiera facesse le registrazioni e le cose per rilevarmi e ci portò a casa. Ora, solo perché una sgrava si deve buttare malata? Mia madre ci diede ragione, ché con me era già all’ottava figlianza (cinque riuscite e tre finite nello scarico del gabinetto). Finalmente, alle nove passate, mia madre – per farsi perdonare della mala mangiata – portò a tavola gli anelletti, che fra l’altro, li dovette fare da capo, ché nella furia di correre all’ospedale, manco una mappina aveva messo sopra alla teglia e il pranzo di natale se l’erano avventato gli scravagli.


Serena Giattina