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venerdì 19 febbraio 2016

Ceffali fioi

“Rincorrere, rincorrere, rincorrere.”
Spolmonarsi di gambe, testimoni visti solo di spalle... acido lattico.
L’ombra controcorrente annerisce le mura della calle più vicina alla Stazione e oscura una lattina di birra, abbandonata a lato del cestino. 
Marco scorre l’indice e il medio lungo il bordo di un sacchetto in plastica nero, quasi pescato dalla canna di un vecchio con un capello a scodella e il volto cancellato dalla scritta LAVITE. 
Marco vorrebbe parlare a quella scritta, dirle quanto sia salutare danzare, non importa cosa, anche a quell'ora, anche se non si è mai stati bravi, anche se i propri passi suonano come una cattedrale gotica tra le pareti di edifici che contengono lo sbattere di lancette senza ticchettio.

Marco vorrebbe invitare il pescatore ad un lancio più profondo, ma Marco non riesce a parlare alla propria ombra. 
Marco pensa, i pollici gli prudono e l’ombra non si muove... 
L’unica soluzione è quella di accendere l’ultima sigaretta e di boccheggiarla, all’ombra del ponte che separa le acque pure, ma piene di reti subacquee, dalle acque sicure, ma protette dagli scarichi dell’Isola.
Lanciato il filtro verso la Laguna, l’ombra spinge Marco ad addentrarsi nel ghetto, dove altre due ombre si rincorrono tra le rovine, si nascondono tra gli alberi, si colgono alle spalle tra pareti dai mattoni sgretolati fino a incontrarsi tra le campane dei ponti, quasi cadendo, ridendo e abbracciandosi. 
L’ombra si nasconde tra un cassonetto e la sagoma di una ragazza giapponese, ritratta con in mano un libro, in testa una parigina e tra le gambe una gonna corta, a righe orizzontali, stropicciate e macchiate dalla spuma della laguna sottostante.
Mentre guarda la mattonella sulla quale è seduto, Marco chiude gli occhi.
Quando li riapre, rivede al suo posto il pescatore Vianeo, con cui aveva scherzato la prima volta in cui era uscito con Silvia. 
Marco se ne stava appoggiato al muretto, schiena distesa, blu jeans a vita alta a sottolineare la conca che spezzava la linearità dei mattoni e, fissando dall'alto al basso la Giapponese Dipinta, aveva scherzato con Vianeo: 
“Guarda che qui i Ceffali se li è mangiati la discarica!”
“T’ammorti cani... No portarme mal!”  
Aveva risposto Vianeo, senza togliere lo sguardo dalla Laguna che in trasparenza lasciava intravedere solo poltiglia di mare.
"Riprendi gli studi, Vianeo, no te vedi che non abbocca nulla?”
Vianeo lasciò che il treppiedi davanti all'ultimo scalino sorreggesse la canna.
“Meglio essere testa di luccio che coda di storione” aveva sentenziato, le scapole chiuse, le dita che graffiano la scorza di un kiwi.

Roberto Zagarese