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giovedì 31 marzo 2016

Giovanni - Il Gattopardo raccontato dalle cameriere

Anche lui aveva corteggiato la morte, anzi con l'abbandono
di tutto aveva organizzato per sé quel tanto di morte
che è possibile metter su continuando a vivere.


Se ne andò con la mattinata, che fuori era ancora scuro – manco noi cameriere eravamo sveglie, ma fra poco ci sarebbe stato da aprire le cucine, andare a prendere l’acqua, accendere i fuochi.
Giovanni lo sapeva e doveva sbrigarsi. Era davanti allo studio di suo padre, da dove tante volte li avevano sentiti parlare – anche se, a dire la verità, la voce era sempre quella del principe. Anche Paolo li sentiva – con lui le discussioni non duravano così tanto, il gattopardo non ruggiva d’orgoglio come con il secondogenito, lui lo capiva e se ne andava dai suoi cavalli. Fu davanti allo studio che vidi Giovanni. Lo sapevo che non dovevo stare ai piani nobili –  me l’avevano detto quando m’avevano portata lì a servizio due settimane prima, ma quella mattina prima dell’alba avevo gli occhi spalancati, non mi ero ancora abituata al palazzo e avevo deciso che un’occhiata gliela potevo dare mentre tutti dormivano – fu pure per questo che mi spaventai. C’era qualcosa di strano però: non sembrava arrabbiato, anzi pareva preoccupato più di me. Poi vidi il sacco sulle sue spalle, mi accorsi che indossava un cappotto da viaggio. Lui si fermò solo per un attimo, io invece restai bloccata perché quello si stava avvicinando sempre di più e i suoi passi non facevano rumore, mi mise un dito sulla bocca: non devi dire niente a nessuno, non svegliare mio padre. Lo fissai. Se non mi tradisci, disse lui, un giorno ti porto un diamante da Londra. Un diamante? E chi l’aveva visto mai! Avevo appena conosciuto ricchezze che manco sapevo come si chiamavano e ora il figlio del principe mi prometteva un diamante. Rimasi ferma e zitta e Giovanni continuò a scivolare lungo il corridoio – prima però mi aveva sorriso –, poi scomparve:  lo vidi dalla finestra correre con il sacco in spalla, come un vagabondo, un servo, uno di noi.

Il giorno dopo Turi dovette portare molte forchette a raddrizzare. Solo io sorridevo, e nessuno mi sopportava perché ero allegra pure quando il principe voleva che rifacessimo un lavoro cento volte, perché non andava mai bene. Pensavo al mio diamante, immaginavo Londra e poi me con una collana di diamanti e poi quante cose con i diamanti si possono comprare. Ma che diamanti, Giovanni faceva il commesso in un deposito di carbone, si seppe solo due mesi dopo – lo vidi dentro una nuvola nera, sporco, a faticare mentre i suoi parenti facevano la vita dei signori. Di loro però aveva la scaltrezza: mi aveva presa in giro e io da ignorante ci avevo creduto. Ma a che serviva rivelare tutto adesso – quella mattina, forse, mi avrebbero ricompensato, ma ormai era solo un segreto stupido di un ragazzo che aveva preferito quella vita agli agi di palazzo. Agi che erano garantiti da me e quelli come me, che correvamo a ogni scatto d’ira del principe e a ogni crisi isterica della principessa e ogni volta che quel cretino di Paolo cadeva da cavallo, e io stetti lì a pulire dove camminavano e dove si lavavano e a preparare quello che mangiavano – ogni tanto mi piaceva pensare a quando ero convinta di stare per diventare una signora pure io, subito  dopo pensavo certo che il figlio del principe non è più tornato, suo padre lo ammazza ma prima lo ammazzo io. Raramente arrivavano lettere dall’Inghilterra. Quelli che riuscivano a sentire qualcosa quando il principe le leggeva alla famiglia dicevano che erano poco più che cartoline con i saluti. Una volta invece ne arrivò una indirizzata alla principessa e subito dopo un pacchettino. Peccato che Maria Stella fosse morta da tempo. Don Fabrizio lo aveva ricevuto nel suo studio e per tutta la giornata non ne era uscito – stava diventando vecchio e non si era mai rassegnato alla partenza del figlio. Mi venne la pensata che il regalo poteva essere rimasto nello studio e per la seconda volta la mattina presto salii fino al piano nobile. Di cassetti cento ce n’erano e meccanismi strani pure, ma se la cosa era importante doveva essere per forza là dentro. Ci so fare con le serrature e dopo alcuni scatti vidi il pacchetto, dentro c’era un bracciale di diamanti. Giovanni me lo doveva e alla principessa non sarebbe servito. 

Valeria Balistreri