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martedì 11 ottobre 2016

Il lupo cattivo - da "Cernia Tossica"

E la seconda volta che andammo a Rannino Germano non si limitò alla camicia, tolse le mutande e correva nudo e tirava pietre alle mucche gridando «bisteccone da panare, venite qua che vi do un morso» e rideva, se la spassava. Io seduta sulla coperta ad applaudirlo, nessuno dei miei amici era come lui. Un’altra volta se la prese con un gregge di pecore, le inseguiva a grandi balzi, versi da strazio: «signorinelle belle, fatevi scopare dal lupo cattivo!» e quelle a belare. E il maggese, il crinale, la sulla o i papaveri, i cardi selvatici, ci sarebbe stata pace tra le cime solo quando veniva il turno delle lucertole - «stai zitta che ce n’è una giurassica» - le cacciava con steli d’erba a cui faceva un cappio in punta, le prendeva e le teneva a guinzaglio, mi guardava da bambino che non ha fatto errori nel dettato ma io a rimproverarlo, libera quella bestiaccia dannata che mi fa schifo; la lasciava in pace a patto di afferrare me, si tuffava di panza dov'ero distesa, nudo e sudato - l’odore di chi non si deodora ma neanche puzza - e mi leccava il collo, mi masticava le orecchie, o mangiava il pane e salame che gli avevo portato e poi ricominciava, le mani dentro la maglietta a impastarmi, che a volte spirava vento sulle montagne e ci stringevamo, si divertiva a fiatarmi addosso, a ricoprirmi e farmi sparire.

E poi le storie, voleva che inventassi vicende di uomini gloriosi e donne bellissime; attinsi ai romanzi che avevo letto, gli raccontai Madame Bovary e disse «che troia!», gli raccontai Gita al Faro e disse «che noia!», gli raccontai Il giorno della civetta e disse «io l’avrei scritto meglio».
«Tu?»
«Sì, io.»

«Germano, tu sei megalomane.»


Giorgio D'Amato





Tommaso Tomasello