Sterile, aveva detto il ginecologo. O almeno era quella la sentenza che credeva di avergli sentito pronunciare nella stessa frase che conteneva l'altro colpo: "mioma" - il mostro silente che dormiva da anni nell'aridità presunta del suo utero.
Non era certa - su un ramo dell'albero di fronte alla finestra dello studio medico un passero rigurgitava cibo nel becco dei suoi pulcini.
Per qualche tempo aveva detto sì ad un surrogato d'amore con un uomo che non poteva appartenerle e che lei avrebbe mai voluto davvero, visto che la sua solitudine era uno status tanto detestabile quanto imprescindibile.
E adesso eccola tra le pareti asettiche della clinica, stanza 406. Di letti ce ne sono due, ma uno resterà vuoto grazie al sovrapprezzo per l'ulteriore solitudine. Il suo grembo "miracolosamente" è riuscito ad accogliere vita, nutrendo al tempo stesso un feto e il suo gemello cattivo, il tumore che in nove mesi è cresciuto di pari passo col bambino, a sottrargli linfa e spazio vitale - aspetta che la portino in sala operatoria per un cesareo che vedrà nascere insieme il bello e il brutto.
Tra qualche mese, quando e se si sarà ripresa, i medici provvederanno all'isterectomia totale o, come si dice in gergo "a svuotarla".