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lunedì 12 febbraio 2018

I ruderi di Poggio Reale




RUDERI DI POGGIO REALE


Efeso, Pompei, Palazzo Reale di Cnosso, Poggio Reale.

Comunità diverse per importanza, periodo storico, estensione e ubicazione. 

Cosa accomuna allora questi quattro siti? 

Ridotti all'abbandono per motivi diversi, tutti e quattro sono, oggi, musei a cielo aperto. 
Li accomuna lo stato in cui versano: le costruzioni diroccate e una sorprendente "integrità" della propria fisionomia. 
Ancora adesso testimoniano e raccontano dell'eterna tragedia umana. 
Terremoto ed epidemia per Efeso, l'eruzione del Vesuvio per Pompei, l'incendio per il Palazzo Reale di Cnosso (una città a tutti gli effetti, con fabbriche e commercio di ogni tipo), infine il terremoto del '68 per Poggio Reale.

È giusto precisare, però, che mentre per i primi tre il titolo di Museo a cielo aperto è del tutto riconosciuto, lo stesso non vale per Poggio Reale. 

Piccola comunità della Valle del Belice, unico paese a non essere stato recuperato né in toto né in parte, oggi è suggestivo per la sua bellezza spettrale.
Lo visito al seguito di un gruppo di boy scout, grazie all'Associazione culturale "Poggio Reale antica" che prova a riqualificare il sito.

Le strade sono state ripulite da detriti ed erbacce. La guida ci raccomanda di percorrerle camminando al centro, evitando di sostare sotto i balconi pericolanti e senza inoltrarci all'interno delle case. Gli ambienti,  per altro, sono ben visibili dall'esterno, le facciate sono sventrate e i tetti in gran parte crollati.

Non c'è una sola casa che non mostri le ferite tragiche. Tantissime risalgono al giorno del terremoto, molte altre - forse le peggiori - sono invece dovute alla burocrazia che, con un decreto comunale, ha permesso anche alle case agibili di morire dello stesso male. 
D'accordo, dimentichiamo il passato, dimentichiamo la demolizione definitiva di un antico convento e di una porzione importante del paese per installare, ai tempi, la baraccopoli; pensiamo ad oggi, guardiamo avanti. 
Un paese la cui vita si è spenta una notte di gennaio del 1968 può riprendere il suo posto nella Valle.  
L'agglomerato di ruderi è, di fatto, un museo a cielo aperto. Non ci sono dubbi.
La pianta stradale è pressoché intatta. Il mio sguardo reperisce colonne e tempietti, porzioni di chiese, capitelli, l'insegna di un panificio, i ganci di una macelleria, le coffe di un frantoio... 
Le pareti crollate hanno lasciato sulle facciate squarci simili a bocche storte; spalancante nell'ultimo grido di dolore. Le lesioni lungo rampe di scale o sulle ultime pareti in piedi hanno la fisionomia di fulmini e di saette. Da quelle scale la gente è fuggita, scampando ai muri che si spezzavano come waffel.  
Tutto è ben contemplabile.
Sono case dai corpi bassi, dall'architettura ottocentesca: prospetti baronali, soffitti a vela, a volta, decorati. Si contano sulle dita di una mano quelli che vanno oltre il primo pino, eppure hanno una veduta sulla valle che spazia all'infinito. Guardano, con i loro occhi spenti, alle colture agricole: uliveti - già fiorenti al tempo dei Greci - e fichidindia, oggi in grande espansione. 
La valle di per sé è ricca di storia, Sicani, Elimi, Fenici e Greci l'hanno "attraversata" lasciando le proprie tracce: dove reperti archeologici, dove una citazione sopra testi antichi. 
Gli Spagnoli, in ultimo, gli hanno dato il nome.
Accadde infatti al tempo di Filippo IV Re di Spagna che, con un decreto del 17 marzo del 1642, concedendo al Marchese Francisco Morso di Gibellina l'edificazione di un abitato intorno al suo palazzo di soggiorno, venne denominato Poggio Reale. 
Credete sia eccessivo il paragone fatto con i primi tre siti di importanza mondiale? Io non credo. Un "popolo" che ha perso tutto in un solo giorno, le cui case mostrano ancora la tangibilità della sciagura, meritano lo stesso rispetto. Non è solo una questione di recupero archeologico, meravigliosa è Efeso, lo stesso vale per Pompei e per ciò che rimane del Palazzo di Cnosso, ma la storia è fin troppo identica perché l'una sia inferiore all'altra, perché l'ultimo "abbandono" non meriti lo stesso rispetto e riconoscimento degli altri. 
Dove si è ricostruito, la vita è andata avanti, in questi luoghi no. Il filo si è spezzato rimanendo ad oscillare tra esistenza e completa sparizione. 
Proviamo a ridare vita a ciò che è testimonianza di un passato, mettiamolo in sicurezza, rendiamolo più accessibile ai visitatori. Sosteniamo l'associazione, chiediamo aiuto alla Comunità Europea. Questo progetto di recupero è di valore inestimabile, e non solo per la terra di Sicilia. 


Adelaide J. Pellitteri