Era un freddo venerdì.
Uno di quei giorni in cui il clima ti fa sentire come se fossi davanti un
frigorifero aperto, mentre il sudore si asciuga e il caldo diventa più piacevole.
Quel giorno, quel venerdì alle 11:19, lei lo aspettava. Indosava un abito
blu come il mare a 500 miglia dalla spiaggia, e i suoi capelli con il clima
erano perfetti e disordinati allo stesso tempo.
Seduta in una panchina dil parco lei pensò: oggi non è il giorno giusto per
questo vestito, nel frattempo la pelle delle gambe si rizava al passaggio del
venticello fresco tra le sue cosce.
11:23. Lui non arrivava.
È inutile pensò. Alla fine la puntualitàè una virtù poco comune non concessa a tutti, si, di
quelle cose che si trovano in fondo al vesetto di uno yogurt come un premio, e
che solo apprezziamo dopo una lunga attesa.
Lui non era mai stato puntuale, già si sapeva, ma almeno varcava sempre la
soglia con un margine di ritardo accettabile. Questo venerdì superava il suo
record.
11:32. Non ha senso, pensò lei, mentre un capello infastidiva la pupilla
del suo occhio sinistro. Il tempo continuava a scorrere e a fare piroette di
fronte a lei, trascinando ogni secondo con pesantezza, e lui non appariva.
Alle 11:34 cade nella sua spalla destra una goccia. Acqua.
11:35. Un’altra goccia nella sua mano, questa volta più gelata della
precedente, in unistante ebbe l’impressione che tutte le nuvole del cielo si
avvicinavano formando un cerchio di acqua condensata sul punto di precipitarsi.
Tale fu la forza di quello segno, che in quel momento la ragazza dell’abito blu
aveva compresso l’inutilitá dell’attesa.
Sotto l’imminente acquazzone, l’abito blu come il mare a 500 miglia correva
con un tono di tristezza, avvolto nella foschia di una delusione.