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venerdì 7 marzo 2014

Ad esse ritornano


Ancora qualche passo, quanto un batticuore per oltrepassare il confine tra il vivere quotidiano di maschere che si alternano veloci e la porta da chiudere in faccia al mondo. Oltre la quale esistono emozioni, molecole che si susseguono in veloci sequenze, in ordini precisi che aprono altre porte, altre reazioni, chimica di voli. Occhi socchiusi che guardano sogni. Sogni che non sono più, ma realtà condivise.
E musica. Musica volante, danzante che si avvita in volute alte, oltre confini terreni.
In questa dimensione tutti gli amori si somigliano. Le estasi, le sindromi di Stendhal, la bellezza dei marmi, dei volti scolpiti, i colori e i cieli, le Madonne e gli affreschi. I paesaggi, le rocce, le sabbie degli oceani. Tutti gli amori si somigliano, contengono un nucleo comune: la bellezza e la divinità.
Ed ad esse ritornano.


Mi sono innamorata di te così come mi sono innamorata di quel momento magico al Canyon, quando il vento cala e senti il rumore delle rapide: una voce appena sussurrata che apre conoscenze oltre il terreno.
Pamuk ha spolverato la polvere dai mocassini, ha creduto di poter raggiungere i nidi dei corvi che volteggiavano alti e le case scavate nella roccia che stavano sospese sul letto del fiume. Camminava veloce ma le rapide erano in fondo, mentre i corvi volteggiavano alti verso le vette del Canyon e sapeva che l'aria rarefatta gli avrebbe impedito di respirare, incollandolo al suolo da non poter muovere un solo muscolo. Così decise di andare a cercare le stanze scavate nella roccia. Gli anziani ne parlavano con grande rispetto, tante stanze, decorate di azzurro e di disegni tracciati con piccoli tratti colorati. Ma c'erano alcune, tante, nascoste. Erano quelle che voleva raggiungere Pamuk anche se avesse rischiato di perdersi e non tornare più alla tribù. Lo vedo incamminarsi verso le stanze segrete dopo avere pagaiato lungo il fiume. Dopo aver lasciato la canoa e spolverato la polvere dai mocassini battendoli contro la roccia rossa del Canyon. I corvi volteggiano alti e alza lo sguardo sfidando la luce del sole e l'ombra del corvo contro il cielo. Intorno la luce cambia sulle pareti delle montagne, diventa rossa, come verso il tramonto, mentre mille nuvolette leggere schermano l'orizzonte.

Mi sono innamorata di te come quando mi sono innamorata della Pietà di Michelangelo.
Paralizzata di fronte al bianco del marmo che non era più pietra ma materia viva, palpitante, fusa nel dolore e nelle lacrime. Nello spasimo delle membra abbandonate, altre e altrove ormai. Nelle pieghe perfette del manto che si ripiegavano come se il vento le muovesse attorno all'ovale perfettissimo e gli occhi vitrei. Mai è stato raccontato il dolore come in quel momento. Un palpito, uno sciogliersi di un nodo in fondo all'anima che restituisce lacrime al dolore del mondo.
Mi sono innamorata di te percorrendo l'Italia da cima fino in fondo. Soprattutto quando ero in alto verso il Nord, perchè ho guardato in giù ed ho visto quanto era bella per quell'azzurro mare che la contornava, i golfi e le pareti laviche. Le colonne dei greci, la perfezione dei bronzi, i luoghi sacri dei templi, i teatri in semicerchio dorati di luce dietro le maschere di terracotta. E l'umanità parla ancora di quegli idiomi ingarbugliati, separata da una sola striscia di mare, continua a spremere le olive, i limoni e l'origano sul pesce del mare. Fa le valigie e parte, ossessionata dalla solitudine e l' estraniamento, lì in mezzo al mare. Si acceca di mare all'infinito e pensa a tutto quanto è lontano e irraggiungibile, ne ha fame, ne sente il profumo nel vento e corre via. Lontano per poi tornare.

Mi sono innamorata di te guardando Mantova immersa nella laguna piena d'anatre. Nei soffitti del palazzo del Te', nei soffitti del palazzo ducale. Nella bruma che sale la sera e contorna come una nuvola i bastioni e le torri sospese in una polvere irreale. 
Mi sono innamorata di te perchè amo la vita.

Clotilde Alizzi