Lattine edite: Cosa vuoi fare da grande
"In terza elementare il piccolo Guido Pennisi non se la passava troppo bene. Orfano di madre, era un bambino taciturno che portava i capelli rifilati con la tazza e si lavava di rado. Nessuno sapeva che mestiere facesse il padre, e lo stesso Guido aveva al riguardo un’idea alquanto nebulosa.
Da grande voleva fare il pirata e nel frattempo collezionava brutti voti e punizioni. Aveva già steso tutti i bulletti del quartiere e arrivava sempre tardi a scuola, con una faccia da condannato a morte che a vederlo ti si stringeva il cuore.
Quando fendeva il cortile con la sua tracolla squinternata e gli occhi bassi a fissare le piastrelle impeciate dalle gomme americane, gli altri ragazzini facevano ala senza fiatare e il silenzio svolazzava fino all’ufficio della direttrice, all’ultimo piano, come un segnale d’allarme. Si diceva che una volta aveva infilzato una maestra con la Bic, e che questa non lo aveva denunciato per paura. In realtà Guido se n’era pentito all’istante, non c’è gusto a picchiare le maestre.
Il suo unico amico si chiamava Gianni Serra, e risiedeva con Guido nella repubblica indipendente dell’ultimo banco, la Tortuga dei bambini perduti."
(Cosa vuoi fare da grande, Del Vecchio editore)
(Cosa vuoi fare da grande, Del Vecchio editore)
Cosa c'è oggi di più insano della scuola? Solo la scuola. Un ambientaccio dove invidie, arrivismo, rivalità tra colleghe, la priorità del progetto finanziato rispetto all'insegnamento, la costruzione del grande evento patinato, portano ad ignorare lo striscione più bello, quello costruito dai due piccoli protagonisti, Guido e Gianni (ma in realtà il romanzo gode di una coralità che porta l'azione da Gurbalak - cittadina della provincia turca - al prestigioso Massachusetts Institute of Technology). E poi il futurometro, una macchina strana che sarebbe in grado di valorizzare l'attitudine alla vita di chi si sottopone a misurazione.
Il romanzo si muove tra trovate, iperboli, dialoghi, descrizioni volutamente sopra le righe, in una dimensione estrema della narrazione dove la voce narrante connota con il suo modo scanzonato, ai limiti di una prosa che sembrerebbe umoristica. Ma Bajo e Meloni sanno andare oltre, e il lettore se ne rende conto subito, dalla prime pagine, quando si trova a parteggiare per Guido e Gianni emarginati dell'ultimo banco, quando non sa se schierarsi con o contro Volkan l'inventore, quando rimane disarmato davanti a Vito che in tutta precarietà accetta un lavoro non retribuito pur di avere un ruolo nella società.
"Cosa vuoi fare da grande" ti prende gli occhi, è la voce narrante che decide quando restituirteli, perché pagina dopo pagina monta un'amarezza che si radica dentro e rimane anche dopo aver chiuso il libro, come una domanda aperta.
Giorgio D'Amato
Il romanzo si muove tra trovate, iperboli, dialoghi, descrizioni volutamente sopra le righe, in una dimensione estrema della narrazione dove la voce narrante connota con il suo modo scanzonato, ai limiti di una prosa che sembrerebbe umoristica. Ma Bajo e Meloni sanno andare oltre, e il lettore se ne rende conto subito, dalla prime pagine, quando si trova a parteggiare per Guido e Gianni emarginati dell'ultimo banco, quando non sa se schierarsi con o contro Volkan l'inventore, quando rimane disarmato davanti a Vito che in tutta precarietà accetta un lavoro non retribuito pur di avere un ruolo nella società.
"Cosa vuoi fare da grande" ti prende gli occhi, è la voce narrante che decide quando restituirteli, perché pagina dopo pagina monta un'amarezza che si radica dentro e rimane anche dopo aver chiuso il libro, come una domanda aperta.
Giorgio D'Amato