Le
mie mani il filo che non si spezza e che mi tiene unita al mondo dal quale sono
esclusa. Lo vedo attraverso la grata che graffia l’azzurro del cielo gonfio di nuvole gravide di pioggia. Gravide come io non
sarò mai, sterile fiato, arido cuore che una volontà superiore ha isolato tra
queste mura antiche e improvvide.
Madre tu mi lasciasti a una sorte matrigna e infida. La carezza si tramutò in inganno.
Madre tu mi lasciasti a una sorte matrigna e infida. La carezza si tramutò in inganno.
(Tu
mi lasciasti.)
I
miei capelli lunghi sono stati tagliati, mortificati, la carne stretta tra
fasce candide e ruvide e la notte il martirio si compie ogni volta che ripenso
alle labbra tumide e ai ricci neri che ricadevano sugli occhi dell’uomo che non
conoscerò. Quando mi risveglio la realtà è sudore vano.
Lei,
donna illuminata la mia matrigna, ha deciso di sbarazzarsi di me. “E’ la vita
che le si addice, marito mio, darà lustro e onore alla famiglia”- e Voi padre
abbagliato da questa vipera avvelenaste la mia di vita.
Nessuno
conosce il mio dolore e il rancore che mi divora come un tarlo. Io qui sono la
novizia Eloisa che diverrà un’altra, non più donna, un altro nome in morte, la
cui anima in vita è divorata dall’impotenza e dal desiderio; gettata in croce
ai piedi di un altare consacrato alla mia rovina.
Da
quando sono qui, ho imparato a sopravvivere perché nonostante tutto io sono
viva e non mi sento sconfitta.
L’orto
che le sorelle hanno creato nel giardino segreto del convento è lussureggiante
e unico, ed io come cespuglio incolto ho trovato una ragione e un senso al mio
divenire, perché non si può urlare mentre si masticano preghiere e si tiene il
capo chino, mentre le ginocchia ti dolgono e l’atto di dolore diviene un atto
impuro.
Attiguo
all’orto c’è un piccolo andito, lì si coltivano le piante officinali e
medicamentose che curano mali segreti. Mi dedico alle sementi e alle piante,
faccio si che crescano sane e rigogliose. Per favorire la vita spesso bisogna
usare la morte, ma con cautela.
E’
in questo luogo fuori dal mondo che ho imparato a forgiare piccoli frutti e
agnellini di marzapane, inganni dolci che alimentano fantasie e rompono
l’occhio lasciandoti in bocca sapori arabi. Sono divenuta abilissima. Nessuna è
più brava di me. Gli agrumi sono i miei preferiti, e per la Santa Pasqua modello
pecorelle alle quali manca solo la parola. Pecorelle timide come noi, piccolo
gregge di Dio.
Oggi
è giorno di festa e la cara Illuminata verrà a rivendicare il suo tributo di
dolcezza. Ho dato forma e sostanza a una pecorella docile e pacifica, in più,
anche se non è stagione le ho preparato dei mandarini di pasta reale degni d'una regina, non potrà fare a meno di addentarli nella maestosità solitaria
della mia casa. Con gli occhi sgranati la troveranno. Come un rosario
interruptus.
Nella
mia città è con i dolci che ci ingraziamo le anime dei morti. La città negatami.
Adesso l’unico cielo stellato che posso ammirare è quello dei mosaici di Santa
Maria dell’Ammiraglio.
“Sono
per voi cara madre, fatti con le mie mani”. Eccola allarga gli occhi ghiotta e
avida come lo è stata nello scegliere un vecchio solo e ricco, come lo è stata
nel liberarsi di me.
L’arsenico
rende forti le piante di quest’orto segreto lo usiamo in polvere è insapore e
incolore, è bastato aggiungere solo più zucchero. Mio padre non si risposerà,
vedovo per ben due volte chiunque ci penserebbe bene prima di impalmarlo.
Adele Musso
Adele Musso