Quella
dei campioni è proprio una bella famiglia. Non è facile diventare il migliore,
figuriamoci un fuoriclasse. Nel calcio di oggi, lo è ancora di più.
Non
ti basta avere dei piedi buoni. Quando segni devi fare il cuore con le dita o
rompere la bandierina in gamba tesa. I capelli li devi portare alla moicana o
pisciati sulla fronte, rigorosamente biondo ossigenato. Devi guadagnare tanto.
Saper far saltare i nervi al tuo avversario e se non basta l'abbraccio in area
di rigore, consiglierei un bel morso. A tutti denti. Un morso ben assestato
sull'avambraccio alla meta-lupo, sul collo draculanamente o vicino la spalla, a
tradimento.
Chiedete
a Luis Suarez. Lui è il prototipo del campione moderno. La nuova leva che si è
affermata: piange durante l'inno, dopo ogni gol, sotto la pioggia se non segna.
Piace più ai giovani che ai grandi, un po' come Neymar, e di morsi ne ha già
dati tre nella sua carriera. Tre attacchi letali più lode, se consideriamo il
pugno in pieno volto a un arbitro. Non era neanche maggiorenne all'epoca, già
si capiva che avrebbe sfondato e che non sarebbe stata una meteora.
Valeva
800mila euro nel 2006, 7 milioni e mezzo l'anno dopo, 25 nel 2011 e adesso il
Real Madrid sarebbe disposto a spendere circa novanta milioni di euro. Tutto
questo prima del terzo morso. Adesso il valore del suo cartellino sarà
schizzato.
Balotelli
che è il nostro fuoriclasse proprio non ci riesce. D'accordo, posteggia la
Ferrari in pieno centro città; gioca a freccette usando i suoi compagni come
bersaglio; ha qualche tatuaggio, ma non è ancora abbastanza. Balo, ti prego,
non insistere. Tu non hai ancora morso nessuno.
A
me Suarez piace. C'è dello stile in lui. La voglia di superare i propri limiti.
Hannibal, pistolero, chiamatelo come volete. E' un fuoriclasse. Lo dicono
tutti: in tv, sul giornale, soprattutto al bar.
Anche il paragone con un grande del passato come Zidane non regge più:
mirò allo sterno di Materazzi e adesso, dopo il calo di zuccheri che ha spinto
Luis ad assaggiare Chiellini, quasi quasi il francese ci sembra un dilettante.
Certo,
quella era una finale di Coppa del Mondo. Questo vale tanti punti. Però c'è
ancora tempo ed io ho fiducia che i nuovi fuoriclasse come Neymar e Suarez
possano andare avanti nella competizione. Scontrarsi tra un colpo di ciuffo
biondo ossigenato e un morso. All'ennesima potenza.
Ora,
io sono molto giovane. E dei campioni del passato ho soltanto memorie
riciclate, letture prese in prestito, giudizi premasticati. I tempi cambiano, è
vero. (E che cosa ne posso sapere io.) Ma volendo fare un paragone stentato con
i grandi campioni più recenti - Maldini, Zanetti, Del Piero...-, questi le
grandi giocate le facevano, indipendentemente dal loro ruolo in campo e che il
titolo di nobile del pallone se lo sono conquistati senza grosse macchie.
Quelli di oggi, che ruolo vestono nella grande piramide della storia del
pallone?
I
delinquenti del pallone che in campo guaiscono, per poi abbaiare sui social
network. Chi li fermerà? Dove sono i giovani e i loro valori. Magari anche
nostrani. A dire che no, questo non è calcio, non è sport. Che il pallone non è
la malattia, non è una degenerazione di un sogno, non è una
slot machine che curi la crisi come patologia. E dove sono i loro genitori. Io
ancora li vedo nelle tribunette delle scuole calcio, durante la partitella
comandano i propri figli con i joypad della playstation e mirano alle caviglie.
Come
può non passare il messaggio più sano che “canazzo di bancata” – sportivamente
- lo può essere chiunque, mentre “signore”…
Beh, quella è tutta un’altra storia. Una di quelle che il mio mentore mi
racconta. Ma io non l’ho vissuta e chissà se mai potrò vederla nell’epoca
dell’alta definizione. Dove niente sfugge. Neanche un morso.
Gualtiero Sanfilippo