Tre mesi fa Pompeo Sirchia, Ministro per il bene comune, ha annunciato la riduzione dell’illuminazione pubblica. Finalmente si potranno vedere le stelle, ha dichiarato alla stampa.
Anna cammina in fretta, rasente al muro. La sera, di ritorno a casa dal lavoro, si guarda attorno. Imbocca Vicolo Torto. Piove. Accelera il passo sino a Piazza San Giacomo. Ogni tanto inciampa. Giura che non metterà più i tacchi. La mano, nella tasca del cappotto, stringe un martelletto, di quelli per piantare chiodini e appenderci i quadri.
Anna cammina in fretta, rasente al muro. La sera, di ritorno a casa dal lavoro, si guarda attorno. Imbocca Vicolo Torto. Piove. Accelera il passo sino a Piazza San Giacomo. Ogni tanto inciampa. Giura che non metterà più i tacchi. La mano, nella tasca del cappotto, stringe un martelletto, di quelli per piantare chiodini e appenderci i quadri.
Sofia, zainetto in spalla carico di libri, esce dalla biblioteca dove ogni giorno va a studiare. Imbocca Vicolo delle Martinelle. Ha una musica in testa. Canticchia e saltella. Piazza San Giacomo è a pochi metri. A quest’ora è buia. E deserta. Sofia è innamorata. Se ora ci fosse Giovanni lo prenderebbe per mano e lo farebbe ballare per tutta la piazza.
Gilda impreca per la pioggia, che però è lieve. Si ripara sotto un ombrello enorme. Sembra raccattato su una spiaggia a Ferragosto. Lo regge a fatica. Tutto attorno è buio. I lampioni sembrano cadaveri senza sepoltura. Attraversa la piazza e costeggia l’edificio accanto alla chiesa. C’è un grande atrio lì. Ci passa davanti tutte le sere. E’ sempre aperto. Si vedono una selva di felci, una grande magnolia e le luci alle finestre. Le piace quello scorcio. Sanno di casa quelle finestrelle illuminate. Gilda si prepara a curiosare anche stasera. Per un attimo sopporta meglio lo scricchiolio delle sue articolazioni.
Dentro l’atrio del palazzo, infrattato fra le lunghe foglie di una felce e il grosso fusto della magnolia, Ciccio Capuozzi u curtu si ripara dalla pioggia. Mentre aspetta beve da un fiasco di vino. D’improvviso si sente sollevare per le spalle e, prima ancora di capire, si trova scaraventato per aria in direzione della piazza. Una voce roca, minacciosa accompagna il volo in sottofondo. Planando a un metro di altezza da terra attraversa l’uscio, il fiasco in mano. Prega che la caduta al suolo non gli rompa le ossa. Ci mancherebbe anche questa dopo tutto quello che gli è capitato da quando è rimasto senza un centesimo. Intanto vola che pare uno sputo venuto fuori dalla bocca di quel portone. Il fiasco gli salta via dalla mano, la testa si scontra come un ariete contro qualcosa di meno duro del basolato, di meno freddo della ringhiera che cinge la fontanella della piazza; qualcosa di poco stabile, che crolla sotto di lui, sul selciato limaccioso, qualcosa che tra l’altro strilla, mentre Ciccio Capuozzi completa il suo volo senza intenzioni. Il suo corpo giace ora appiattito sopra una giovane donna. Accanto uno zainetto, a bocca aperta, offre tomi di libri alla pioggia. Lei non urla più. Lo fissa spaventata e incredula senza potersi muovere. Lui le alita sulle narici zaffate di pessimo vino. La guarda basito senza che gli venga in mente di muoversi.
Le orecchie intanto registrano uno scalpiccio sempre più intenso e vicino. Solleva appena il capo, di lato, e con la coda dell’occhio vede calare dall’alto, a mo’ di fendente, un ombrello enorme. Fa da bersaglio la spalla destra, esposta ad una raffica di colpi male orientati, deboli, quasi fossero senza spinta. Disgraziatu, fitusu e porco!, è il refrain che accompagna la battaglia. Ciccio riesce appena ad intravedere l’espressione disgustata di una donnina magra. Sembra una canna di bambù. Mentre lei gliele suona, lui non si spiega perchè non riesce a distogliere gli occhi da quelle rughine che le segnano il volto come ruscelli. E si ritrova a fantasticare sulla somiglianza con la zia Tita.
Intanto, da sinistra si sente accelerare un tramestio di tacchi. Lo sapevo, lo sapevo…. Mannaia a Sirchia! E’ l’ultima cosa che Ciccio riesce a sentire prima che un martellino gli si abbatta sulla nuca.
Niente sangue, osserva Anna. E reinfila il martello nella tasca del cappotto.
Sofia, riavutasi dalla paura e dallo stupore, prova a scrollarsi di dosso il peso e l’alitaccio di quel disgraziato. Anna la aiuta a rovesciarlo su un fianco, come un vecchio tappeto arrotolato. Gilda lo spinge con l’ombrello. Tutte e tre si guardano. Presto, andiamocene via, mormora Gilda. Anna e Sofia la prendono sottobraccio, quasi la sostengono. Insieme si incamminano a passi rapidi verso l’Archetto della Cometa, che chiude la piazza a nord. Un attimo, dice a un tratto Sofia. Corre verso il suo zainetto, recupera i libri. Li guarda uno ad uno. Sceglie il trattato di Storia delle dottrine politiche e lo assesta sulla fronte di Capuozzi. Lui, gli occhi vaghi appena riaperti, li richiude per una nuova mancanza.
Piazza San Giacomo è lucida. Le luci alle finestre occhieggiano come candeline. Un vento leggero porta via la pioggia. Le nubi si diradano. Tre donne camminano tenendosi vicine sotto il cielo stellato.
Liliana Pettinato