Perché, ma perché, ma
perché, ma perché i miei pensieri sono sempre gli stessi e non cambiano mai, ma
perché anche il silenzio sta parlandomi di te.
Mi ero svegliata quel mattino con questi
pensieri e con il disagio che assale chi si ritrova in un letto straniero.
Siamo arrivate ieri dopo un lungo viaggio, la mia amica del cuore ed io. Siamo
in Russia. Sognavo da tempo Mosca e le sue cupole a cipolla colorate come le
matrioske, quelle bambole a forma di Barbapapà che se vogliono dimagrire si
sbarazzano della loro custodia, il mio lui si era invece appena sbarazzato di
me - la vacanza sarebbe stata quindi un balsamo per il mio animo invelenito dalla
fine ingloriosa della nostra lunga storia
d’amore.
Non era stato facile convincere Caterina ad
accompagnarmi, lei con il suo bel casco d’oro che predicava il perdono a piè sospinto, ma io non lo
potevo perdonare, io volevo soltanto ucciderlo. Va bene andiamo aveva detto
rassegnata. Riusciremo a divertirci, anche se sei una strega.
Dopo una giornata in giro per la capitale ci
ritrovammo intruppati in un pullman, l’ennesimo e portati a teatro. Sarà una
grande sorpresa per voi italiani aveva esordito la nostra guida con il suo
accento strano, nel paese di Putin non fai un passo da solo, sei sorvegliato a
vista e non importa quanto ti sorridano, sono obbligati a farlo. Anche Caterina
mi sorvegliava spiava ogni mio corrugamento della fronte e spesso mi ripeteva: devi crederci ci sarà un futuro migliore e
un mondo migliore. A me quelle parole facevano venire un nervoso che mi
cominciavano a prudere il corpo e le mani. Quando ero un po’ meno incazzata
senza confessarlo neppure a me stessa mi sentivo avvolgere da una nostalgia canaglia che ti prende anche
quando non vuoi.
Ci assegnarono dei magnifici posti in prima
fila e fu così che il silenzio fu spezzato da una musica quasi trionfale che
accompagnò l’apertura del sipario le cui cadute rivelarono lui il cantante più
ruspante e biologico della nostra Italietta, l’uomo prolifico e forse l’unico
al quale avrei mollato dei ceffoni solo perché mi sta antipatico da morire. Albano
Carrisi da Cellino San Marco, neanche si trattasse di un santo. Caterina invece
s’illumina di felicità quasi che
avesse visto sul serio un Santo. Sai - mi dice - io lo sapevo già.
Stasera canta dopo tanti anni di separazione nuovamente con Romina, una réunion musicale chissà che non ti porti bene la cosa, se si sono riavvicinati loro. Odio Albano e anche Caterina con tutte le mie forze, ma non ho il tempo di concentrare il mio centrifugato d’odio che Al Bano attacca con la sua voce pseudo tenorile che lacera i timpani. Gli farei volare quegli occhialini che a malapena nascondono quello sguardo finto bonario che a Romina deve aver fatto vedere i sorci verdi, quel suo sorrisino ebete che cela l’astuzia del contadino. Ma eccola Romina, la donna che non ha ancora deciso se essere una squaw o un’indiana meditabonda, mi pare un vascello che naviga su delle ballerine, le scarpe costretta a portare da sempre per non fare sfigurare lui che essendo un tappo usa quelle con il doppiofondo. Alle prime note di felicità mi risale il gulasch, forse era meglio un panino, o forse è colpa della vodka, forse era meglio un bicchiere di vino. Il pubblico esplode, cantano tutti insieme, mi giro nauseata a osservare i beoti felici. Due file dietro la nostra riconosco, la bionda Lecciso, la moglie mancata che guarda la coppia riunita con sguardo di fuoco, i suoi occhi lanciano lampi d’odio puro, ha qualcosa in mano, la vedo armeggiare confusa, non è possibile, una pistola, poi sento gli spari e immediato un dolore fortissimo al torace, la deficiente che non sa cantare, che non sa ballare non è capace neppure di sparare. Ha colpito me invece dei colombini ritrovati, ed io muoio in terra straniera sulle note di Felicità ascoltando quello stronzo di Al Bano.
Stasera canta dopo tanti anni di separazione nuovamente con Romina, una réunion musicale chissà che non ti porti bene la cosa, se si sono riavvicinati loro. Odio Albano e anche Caterina con tutte le mie forze, ma non ho il tempo di concentrare il mio centrifugato d’odio che Al Bano attacca con la sua voce pseudo tenorile che lacera i timpani. Gli farei volare quegli occhialini che a malapena nascondono quello sguardo finto bonario che a Romina deve aver fatto vedere i sorci verdi, quel suo sorrisino ebete che cela l’astuzia del contadino. Ma eccola Romina, la donna che non ha ancora deciso se essere una squaw o un’indiana meditabonda, mi pare un vascello che naviga su delle ballerine, le scarpe costretta a portare da sempre per non fare sfigurare lui che essendo un tappo usa quelle con il doppiofondo. Alle prime note di felicità mi risale il gulasch, forse era meglio un panino, o forse è colpa della vodka, forse era meglio un bicchiere di vino. Il pubblico esplode, cantano tutti insieme, mi giro nauseata a osservare i beoti felici. Due file dietro la nostra riconosco, la bionda Lecciso, la moglie mancata che guarda la coppia riunita con sguardo di fuoco, i suoi occhi lanciano lampi d’odio puro, ha qualcosa in mano, la vedo armeggiare confusa, non è possibile, una pistola, poi sento gli spari e immediato un dolore fortissimo al torace, la deficiente che non sa cantare, che non sa ballare non è capace neppure di sparare. Ha colpito me invece dei colombini ritrovati, ed io muoio in terra straniera sulle note di Felicità ascoltando quello stronzo di Al Bano.
Adele Musso