Non abbiamo un gran senso dell’orientamento, entrambi, ammettiamolo. E poi a Edimburgo non annunciano le fermate sull'autobus. Risultato: scendiamo tre fermate dopo, ma ancora non lo sappiamo. Ci ritroviamo nel mezzo di una strada uguale a tutte le altre: case grigie da un lato, case grigie dall'altro. Unica forma di vita umana un gruppo di persone attorno a una roulotte. L’uomo dice che non sa, ma ha voglia di parlare, da dove venite, ah bella l’Italia, mi date il vostro biglietto dell’autobus? Interviene una bambina ed è in quel momento che ci rendiamo conto che sta rosicchiando della carne da un osso: io so dov’è! Vi ci porto io.
Andiamo.
Torniamo indietro da dove siamo venuti, lei parla con noi ma cerco di non guardarla: ogni parola è un morso e denti sporchi in vista, e poi non capisco cosa dice, una nomade polacca che ha imparato l’inglese in Scozia, ma che ci sta raccontando? Arriviamo a un incrocio e leggiamo il nome della via che stiamo cercando su una targhetta. Lei dice no, venite di qua, è di qua, e ci insegue per convincerci a cambiare direzione. Stanotte non sappiamo dove andare a dormire e l’ostello è pieno e siamo in ritardo per vedere la casa, attraverso la strada decisa.
Ci siamo, anche la ragazzina – dopo molte sollecitazioni – se ne va. Fuori ci aspetta la ragazza che deve farci vedere la stanza: bassa, tarchiata, capelli flosci, incisivi sul marroncino. Capisco la metà di quello che dice e come il caso richiede mi limito a annuire e sorridere. Non si sforza tanto per lodare la casa, che è piccola: la stanza che lei affitta è stata da poco ridipinta, poi c’è il soggiorno, una cucina minuscola, stretta e lunga, un bagno ancora più piccolo con un sacco di cose in mezzo. La sento usare la parola ‘rubbish’ per riferirsi a questo e al mare quando le chiediamo se è vicino. Nel giro di due minuti siamo fuori e stiamo riprendendo l’autobus, ovviamente nella direzione sbagliata, meno male che c’è lei. Dice che possiamo farle sapere in giornata, abbiamo un’altra stanza da vedere. In centro. Magari non in questa zona che mi sa tanto di project americano. Sicuramente sarà meglio.
Nel pomeriggio siamo davanti alla casa vicina al centro, quella con la facciata più dimessa e il cortile più trascurato di tutta la via, un’altra coppia aspetta insieme a noi. Alla fine si presenta un vecchio, non saluta, apre la porta e veniamo investiti da un tanfo di muffa e fumo. Il corridoio è pieno di batuffoli di polvere modello Far West. La stanza da affittare puzza più di tutto il resto, l’armadio a muro è nero agli angoli di ogni scaffale. Scendiamo al piano di sotto e il soggiorno è uno stanzone pieno di divani vecchi e scompagnati buttati lì un po’ a caso, imballaggi di non so che, accanto un corridoietto che chissà dove porta e un vecchio pianoforte - la muffa cresce rigogliosa sulla moquette. Girato l’angolo un’altra cucina stretta e lunga, ma piena di piatti e stoviglie sporche su ogni centimetro disponibile.
Vada per il project.
Chiediamo a Jennifer – la proprietaria e unica coinquilina – se possiamo trasferirci subito e lei ci dice di andare a prendere le chiavi a lavoro da lei. Quando arriviamo ispezioniamo meglio la casa: il soggiorno è un cimitero di lattine di diet coke, alcune vuote, ad alcune manca solo un sorso. Cenere e mozziconi di sigaretta, tabacco e altro che tabacco non sembra. Sulla mensola del camino elettrico troneggia una scatola di legno: dentro un kit con tutti gli accessori utili per il confezionamento di una canna e un sacco di marijuana. E’ l’unica stanza che ha un odore gradevole, il resto mi accorgo solo adesso che sa di muffa. A sera tocco le pareti della cucina e sono bagnate, mentre ci chiediamo dove dovremmo mangiare, dato che in tutta la casa non c’è un tavolo. Al suo ritorno Jennifer ci dà lenzuola e ci offre cioccolata (uno dei pochi generi alimentari che tiene in casa, insieme a delle banane che vedrò marcire fino a quando lei non le butterà in blocco) e un tè che sa di pesce, ci dice che domani andrà comprare piatti nuovi, posate, spugnette. E’ bello chiacchierare con lei, è simpatica e disponibile. Alla fine torniamo nella nostra stanza e prendiamo possesso di armadio e cassetti – mi rimane il pomello del comodino in mano. Sorrido: siamo a casa.
Valeria Balistreri