Se nel bel mezzo di un sogno devo chiamare qualcuno al telefono, e solitamente si tratta di emergenze, dai pompieri alla polizia, ebbene, puntualmente la tastiera dell'apparecchio si scioglie, diventa floscia e molle come un budino, mentre io annaspo nella frenesia di comporre un numero dentro una gelatina di tasti spappolati. Come racimolare un 113 che scola da ogni lato? Un 112 che gocciola come gelato fuso al caldo di agosto? L'apparecchio telefonico, baluardo diurno di irrinunciabili comunicazioni, la notte, nei sogni, mi si scioglie.
Il Dott. Pinzoni, amico di famiglia e illustre psicanalista, sostiene che la cornetta del ricevitore sia un chiaro simbolo fallico, da ciò che la mia difficoltà d'intavolare una conversazione sia palese indice d'incapacità di relazione col sesso forte. Io mi sento punta nell'orgoglio, perché tutto mi si può dire, ma non che ignori come maneggiare una cornetta. Perciò insistito che il problema riguardi piuttosto il liquefarsi della tastiera, primordiale matrice dissolta in brodosi umori uterini, e allego che con mia madre, non ci ho mai saputo parlare.
Rifletto, dunque, che sarà successo al nostro Señor Dalì, dallo sguardo esaltato e dal baffo multiforme, proteiforme surrealista e celeberrimo artista? Tra gigantesche uova, formiche, tigri ed elefanti trampolieri, anche a lui si squagliava il solido sotto forma, però, d'orologio. Da buon catalano decise d'immortalarlo nei suoi quadri, con estrema perizia, certamente, perché fruttasse. Orologi grandes y pequeños, dorati o bruniti, ma tutti appassiti come prugne secche, o sgonfi come palloncini bucati, appesi su di un ramo in mezzo a un deserto, adagiati in bilico sulla linea di uno spigolo: “persistenza della memoria”, pensò di giustificare.
Quanto mi piacerebbe dipingere telefoni sciolti e stesi come panni ad asciugare al sole. Almeno smetterei di sognarmeli di notte.
Barbara La Monica