Per educarmi mia madre non mi ha dato molte botte, ma quelle poche erano piuttosto creative. Mia madre aveva una certa fantasia nel picchiarmi, uno schiaffo per lei non era solo un necessario, magari non voluto, atto estremo di contenzione e rettifica dei miei comportamenti, ma era anche un modo per lei di esprimere la qualità del suo insegnamento che doveva distinguersi dagli altri.
La presunzione educativa di mia madre è all’origine della bisteccata, ad esempio. Forte dell’insegnamento di mia nonna, fervida sostenitrice del “ad un buon guerriero ogni arma serve”, se per sventura mi capitava di risponderle male all’ora di pranzo, lei si girava e mi picchiava con qualunque alimento stesse per cucinare al momento. E a casa mi a si mangiava spesso carne.
Non so se fosse per esorcizzare la miseria della guerra vissuta da piccola o solo per un dispetto al fegato, ma mangiavamo di sicuro troppa carne, dal momento che mia madre aveva nelle mani quasi sempre bistecche, che mi scaraventava in faccia con una certa nonchalance, ma non priva di energia.
Aspettava che io, incosciente, mi avvicinassi ai fornelli. Prima la sventolava tenendola con due dita e poi calava il colpo, fulminea. Il bello è che poi ce lo mangiavamo pure, lo strumento della mia correzione morale.
Il tocco freddo e viscido di umori sanguigni sulla guancia non mi mortificava solo con il dolore, ma andava oltre, fino a farmi raggiungere le vette sublimi dell’orrore e del disgusto.
In momenti come quelli, trascorsi i primi attimi di stordimento, sentivo di avere una madre fuori dal comune e ringraziavo la buona sorte che me l’aveva data al posto di una donna banalmente isterica che tutt’al più si limitava a rincorrere i figli attorno al tavolo per poi stancarsene e rimandare alle cinghiate serali di un papà poco convinto.
Io no, non sarei mai stata umiliata da uno schiaffo distratto, dato di sbieco senza approfondimenti balistici, io potevo vantare anche colpi secchi di bastone appena più su della tempia perché poi mi si dicesse “Hai visto? A momenti, per colpa tua, non ti ammazzavo sul serio”.
Marisa Vinci