Le parole crociate sono diventate troppo difficili. Lui compra quelle facilitate, ma anche così non riesce più a venirne a capo e si innervosisce. Non ha sempre avuto quest'abitudine, di portarsi le parole crociate al lavoro, ma che deve fare? Non entra più tanta gente nel negozio e se non tiene la testa impegnata rischia di crollare addormentato lì, sul bancone. Che poi si può rovinare e lui ci tiene proprio, al bancone, che suo nonno ha voluto di legno, con il bordo intagliato, una meraviglia artigianale come non se ne fanno più.
I banconi moderni hanno il bordo d'acciaio che quando il cliente s'appoggia gli pare di essere sul tavolo delle autopsie e scappa presto presto. Così non si possono neanche scambiare due parole. Che è una cosa importante, il cliente va capito, coccolato, gli si chiede del cane o piuttosto della famiglia se parla sempre dei figli, e così via. Il malato di calcio lo riconosce dal fatto che il sabato pomeriggio è sempre di cattivo umore perché è stato costretto ad uscire abbandonando le partite in tv, sennò sono musi a mai finire in famiglia. Con aria complice, gli elenca i pregi della vita da single. Da celibi, si diceva una volta.
Che poi, se deve essere sincero, tutta questa gran vita non è, a stare da soli, senza una moglie che cucini qualcosa di caldo, la sera, quando torna a casa e ha solo voglia di appendere la giacca e il sorriso per i clienti e di ritrovare se stesso, con la sua stanchezza e il suo nulla. A letto poi, sarebbe meglio provare il piacere delle carezze spontanee e non frettolose, e costose, come quelle delle sue occasionali dame di compagnia. I suoi amici le chiamavano così, in un altro tempo.
L'unica fidanzata che ha avuto, era troppo bassa e troppo bionda per sua madre. Le mèches delle clienti, nelle giornate grigie, ogni tanto gliela fanno venire in mente. A volte basta poco a resuscitare un ricordo perduto.
Adesso speranza di prendere moglie non ne ha più, con il tempo si è accentuata la zoppia, ricordo di una frattura malcurata, ha perso i capelli e la voglia di dividere le sue abitudini con un'altra persona.
Eppure, quando è al negozio, volteggia da uno scaffale all'altro, avvinto alla scaletta come un acrobata, pronto ad accondiscendere alle richieste più difficili dei clienti. Da lassù e da dietro il bancone, non si vede il suo difetto. Chi non si è mai soffermato a parlare con lui fuori del negozio neanche se lo immagina.
"Stava a cuore a Mao", tre verticale, quattro lettere. La prima è una "c". Cina. Pure qua. I cinesi sono il suo incubo, come degli altri commercianti. Fanno roba scadente, imitazioni che valgono per quanto costano: poco e niente. La gente ora pensa solo a risparmiare, non gliene importa della qualità. E poi fanno lavorare i bambini.
Alza gli occhi a guardare quella specie di bazar che hanno aperto di fronte. I cinesi, naturalmente, solo loro guadagnano e aprono negozi, sono diventati così tanti che gli sembra di stare a Chinatown. Lui non la conosce, ma un suo amico che ha vissuto in America gliene ha parlato. Se ha capito bene, dovrebbe essere più o meno così, con tanti negozi tutti uguali, pieni di cose inutili, piccole piccole, cose cinesi.
Una volta, poi, ha visto in un film una specie di festa, dove viene portato in processione un gran drago. Niente a che vedere con le nostre statue di santi, mica di carta colorata, rossa, gialla e verde, ma di legno e di gesso dipinto d'oro, antiche di secoli, piene di soldi ed ex voto che ti vengono i brividi a guardarli. E la gente, appresso, piange, prega e chiede le grazie. Perché qua si tratta di santi veri che fanno persino i miracoli, non un drago di carta. Per piacere.
Non la scrive quella parola sul cruciverba, ma si costringe a guardare l'orologio e a cominciare a considerare l'idea di andarsene. In fondo, chi può avere tutta quest'urgenza di comprare camicie all'ora di cena?
Si infila il cappotto, spegne le luci, abbassa la saracinesca e se ne va. Sarebbe capace di trovare anche ad occhi chiusi la strada della trattoria dove sa che lo aspettano l'amico lamentoso, la bistecca ai ferri, il quarto di vino che lo predispone al sonno.
Ma quella sera l'amico ha altro per la testa che aggiornarlo sullo stato dei suoi reumatismi.
"Guarda qua", gli dice, sbattendogli sul tavolo una copia del quotidiano locale. Di solito le notizie, specie se ghiotte, gli arrivano la mattina appena apre, ma quel giorno nessuno si è avvicinato, quindi non pensa che ci sia niente d'importante sul giornale. E infatti: inflazione in salita, il politico che dichiara che "il Paese ha bisogno di stabilità"e per questo, dopo avere provato sinistra e destra, ora se ne sta al centro, la sua squadra che ha perso ancora. E allora?
"Ma no, leggi qua sotto". Un trafiletto parla di persone scomparse in modo misterioso, dopo essere entrate in un negozio. E allora?
"Ma non hai visto la via?". Già, la via. E allora?
"Ma che s'è incantato il disco? Svegliati. Si parla di traffico d'organi, mica noccioline, e, per giunta, forse in un negozio vicino al tuo."
Per lui l'organo è quello della chiesa all'angolo della strada dove entra, ogni tanto, quando ha bisogno di guardare cose belle e così si ritrova a contare le canne dello strumento settecentesco. Una meraviglia. E che suono: la voce di Dio.
Forse qualcuno ruba cose antiche, come gli organi, e le nasconde nei magazzini di qualche negozio. E perché fare sparire anche le persone? Che se ne fanno? Dal punto di vista di un criminale, gli sembra più pratico scippare le collanine.
Lo fa presente al suo amico.
Nel frattempo arrivano le bistecche. Belle grosse, al sangue, ne mangia tre alla settimana, almeno da quando è in grado di ricordare, cioè più o meno dall'età di quattro anni, ora ne ha cinquantasette: potrebbe perfino contarle se sapesse quante settimane ci sono in cinquantatré anni.
"Tu non mi ascolti", l'amico sembra veramente accalorarsi mentre lui comincia a contare e a mangiare. Ma l'altro non demorde e comincia a dirgli che gli organi in questione non sono strumenti musicali, e, soprattutto, hanno un rapporto molto stretto con le persone scomparse visto che li prendono da loro per venderli ai ricchi malati che possono permettersi di pagare, ma non di aspettare.
Mentre ancora l'amico parla, ha già posato la forchetta: una cosa disgustosa.
Gli dice anche che in alcuni Paesi del Terzo Mondo rapiscono i bambini a questo scopo. Per la prima volta, in vita sua, non finisce di mangiare la bistecca.
I bambini no. Avrebbe tanto voluto avere dei bambini, belli sani e sgambettanti, rumorosi e viziati. Nel negozio dà sempre caramelle ai figli dei clienti, e non lo fa solo per ingraziarseli. Odia chi tratta male i bambini. Come i cinesi.
Ha sentito dire che non si sono mai trovati i cimiteri dei cinesi e si è chiesto più volte che fine fanno i cadaveri. Ora sembra tutto più chiaro: se li vendono, i corpi, e con i soldi aprono negozi su negozi. E ora rapiscono pure gli altri. La gente non passerà più dalla strada del suo negozio finché ci saranno loro. Maledetti.
Torna a casa, quella sera, zoppicando più del solito, un peso allo stomaco anche se non ha mangiato quasi niente. Prima di andare a letto, vomita. Non riesce ad addormentarsi, un grumo di nervi gli stritola la bocca dello stomaco, il batticuore gli toglie il respiro. Sente l'urgenza di fare qualcosa per sfuggire all'ansia, ma non sa come darsi sollievo. Da un po’ di tempo avverte una sensazione remota e indistinta che gli ha spesso disturbato il sonno. Adesso tutto sta prendendo forma. Un pensiero gli rimbalza da una parete all'altra del cranio e ogni volta si amplifica, assorbendo tutti gli altri: maledetti cinesi.
Accende la luce del comodino perché ha paura di annegare nel buio della sua mente, forse una sigaretta può aiutarlo a schiarirsi le idee. Il bagliore improvviso del cerino lo illumina. Il fuoco uccide i batteri, disinfetta e purifica.
Sorride fra sé: il fuoco è quello che ci vuole.
Nello stanzino del sottoscala conserva una tanica di benzina, una riserva per il suo motorino. Si veste velocemente, afferra il bidone, un giornale, i cerini ed esce. La strada non è lontana da raggiungere. Tutto è buio e silenzio, intorno. Poche macchine lo sfiorano nella via stretta. Il suono irregolare dei suoi passi è l'unica cosa familiare nella notte, che non gli è mai appartenuta, e lo rassicura.
La vetrina è protetta da una grata di metallo a maglie larghe. Attraverso i ferri, è facile rompere il vetro e buttarci dentro, fra ninnoli e vestiti a poco prezzo, un foglio di giornale imbevuto e versare tutt'intorno il resto della benzina.
Il piano è semplice, perfetto: tutti penseranno ad un regolamento di conti, con gli imbrogli che combinano.
E si libereranno di quella peste orientale. Almeno in quella strada.
Accende il cerino per dare il via alla cerimonia, ma il bagliore che produce lo sorprende. Alza gli occhi e i fari della macchina lo abbagliano. E poi urla, la sua faccia schiacciata contro il muro, il cerino subito spento, rumore di portiere sbattute, odore di sudore e di polvere nella volante che lo porta via.
Se non potrà aprire il negozio, domani, rimarrà chiuso per la prima volta dalla morte del padre, in un giorno qualsiasi. Si chiederanno perché.
Marisa Vinci