Se puoi vivere in un paese dove la terra è
sotto il livello del mare, sopravvivrai in una stanza insieme a degli estranei,
respirerai la muffa e la paura, il sole si scorderà di te, tu non dimenticherai
la luce.
Nello sgabuzzino ci va quando vuole divenire
invisibile, quando spera che il mondo e la presenza dei suoi siano solo una
voce da ascoltare con l’ovatta nelle orecchie. Dal soffitto una lampadina opaca
penzola da un filo, stanno stipati libri e cibi a lunga scadenza, e una serie
di oggetti inutili, che qui non si trova il coraggio di buttare via niente.
Quel vecchio ferro da stiro, un giorno, potrebbe servire, anche il setaccio con
la retina fitta, la ricotta prima si passava con quello. I libri invece non si
buttano, non scadono mai.
Le mura della stanza filtrano i rumori
esterni, e anche se non hai ovatta nelle orecchie, non riesci a sentire bene.
Ogni passo obbliga a immobilizzarsi, a divenire carta da parati, luce spenta.
Eppure si ride e non si perdono le buone maniere, la ripetizione, di ciò che è
stato, imita la vita, quella rimasta oltre la libreria. Hanno messo le
calze alle sedie, diventano mute, ogni rumore è morbido. Spesso si vorrebbe urlare,
ci si morde la lingua. Si scrive.
Alla fine della corsa s’infila nello
stanzino, rapida, che neanche un topo, sbatte la porta, gira la chiave. - Appena
vieni fuori, ti spacco il cucchiaio di legno sulla testa.
Non la sente già più seduta per terra, spalle
alla scaffalatura di metallo. Non usa segnalibri, ricorda a memoria l’ultimo
rigo letto, usa occhi e basta, non si legge ad alta voce, qui le regole sono le
sue. Con la mano libera afferra un biscotto, ma prima controlla che non ci
siano larve o vermetti bianchi, la madre non è una buona donna di casa, mette
là e dimentica, (quando ti serve qualcosa, è già andato a male).
Per qualche ora dimenticheranno anche lei.
Non ne
vengo mai fuori e da finestre inesistenti immagino l’onda dei tulipani, i loro
colori inorgogliscono la terra. Il gambo, perfetto, li regge, sfida il vento.
Come noi. Noi stiamo scolorendo come fogli su cui l’inchiostro cola e svanisce
verso il basso. Ricordare il rosso, il bianco, il giallo contro il grigio della
polvere che si deposita sui nostri corpi, maledetta, ma come fa a entrare fin
quaggiù? Oggi avremo una minestra calda, sembrerà festa ed io sognerò a colori.
La felicità racchiusa in un angolo angusto,
il dolore stampato, letto, ingoiato. Orfana del mondo e degli spazi ampi che
confondono, dove si cresce in varie direzioni. Fermarsi, riflettere, pensare,
sapere. Pagina cinquantuno, no cinquantadue, questo l’ho già letto, non
importa, riprendo da qui. – Esci dal buco, su vigliacca, sempre lì a leggere e
mangiucchiare, vai a giocare con gli altri, prendi aria!
Ingoia lacrime, biscotti, parole e sale.
Questa ragazzina non le somiglia per niente,
è magra, sorride, il colore dei capelli forse, il taglio no. Ma come fa a
sorridere? Il sorriso è ineguagliabile. Quanto tempo sprecato a denti stretti.
Spalanca la porta e corre fuori, (adesso sono
amiche per sempre), sbatte nello sguardo stupito della madre che se la trova
davanti d’improvviso. La stringe all’altezza del grembiule ai fianchi, la madre
solleva le braccia per lo stupore, non fa in tempo a ricambiare che lei è già
scappata. Dove vai matta di una figlia?
Porto un’amica fuori, a vedere ciò che è
rimasto, da oggi la porto con me.
Adele Musso