Sullo schermo le slide di ville in sfacelo - a picco sul mare o nascoste tra pini - ma anche di appartamenti in centro.
Sono tutti beni confiscati.
(Li visitammo tra marzo e settembre, di solito il sabato mattina, alzandoci di buon'ora, calzando scarpe con le suole in gomma per affrontare inerpicate - le memorie degli smartphone svuotate per poter documentare scorci, pergole, porticati, pareti imbrattate, toilette dai sanitari a pezzi.)
Fu l'anno dell'arrivo dei cugini americani (sulla mortadella spremevano il limone, Rosalyn smollicava pagnotte mentre Paolo mischiava vino e gassosa - questo progetto non ha senso, diceva, io non capisco a che serve questa messa in scena buonista).
Maledicemmo i cambiamenti di quei giorni - qui vivremo tutti, una grande comune sorridente, areremo e mangeremo i frutti della semina, e di sera inventeremo storie, tante storie, attorno ad un fuoco, e faremo sesso, sesso e figli (Carla e le sue sottane a fiori).
Io so fare le marmellate, potrei occuparmi della dispensa (forse lo disse Mary).
E d'autunno tagliammo rami secchi e tronchi, alle pareti i turni per i lavori domestici.
Tutto era pronto.
Poi il gatto appeso all'inferriata.
Di quella villa al mare, delle sue imposte divelte che Joe aveva rimesso a posto, dei controsoffitti in legno, rimase ben poco dopo lo scoppio e il conseguente incendio.
Giorgio D'Amato