La voce gentile dell’hostess mal dissimula l’impazienza mentre mi scuote leggermente una mano per svegliarmi. Ho conferma della mia impressione appena i miei occhi ancora offuscati dal sonno incrociano il suo viso: labbra strette in un sorriso forzato e sopracciglia leggermente inarcate, una prigione di stizza. Farfuglio un grazie e le sorrido, mio malgrado. Chissà quante volte al giorno è costretta a ripetere le stesse cose ai passeggeri distratti o addormentati come me.
Mi muovo nel mio minuscolo spazio. Stavolta non ho ottenuto il posto accanto al finestrino, sono costretta tra due uomini che straripano dai rispettivi sedili. Braccio a braccio a destra e a sinistra. Va bene così, il calore emanato dai loro corpi grassi mi fa sentire protetta, anche se intrappolata.
Adeguandomi al profilo del cuscino umano alla mia destra, guardo fuori. L’ultima cosa che avevo visto prima di abbandonarmi al sonno, poco dopo il decollo, era stato il bianco azzurrognolo delle nuvole. Ora quella coltre è tornata ad essere il tetto di sempre sopra al mondo ancora miniaturizzato che va riacquisendo le dimensioni a cui sono abituata. Torno dentro la mia vita. Tra poco sarò a casa. Non mi si presenterà più come uno dei quadrati piatti che vedo da qui, ma il solito cubo, con le pareti bianche e i tetti alti che non mi angustiano.
Lui sarà già ad aspettarmi nel salotto in fondo al corridoio. Entrerò nel suo abbraccio, in quel profumo che so che mi veste anche quando ci allontaniamo. Il laccio si allunga senza rompersi. Mi sporgo dal recipiente del suo amore senza mai uscirne, mi muovo nel mondo-matrioska che è lui. Ovunque.
Va come già sapevo. Lui mi chiude ermeticamente tra le braccia dalle quali mi divincolo, sorridendo solo con le labbra, dopo un tempo che lui avrà ritenuto consono. Esco in balcone a riempirmi i polmoni dell’aria infinita che sa oltrepassare lo stesso tetto azzurro, illimitato e finito, che ho attraversato stamattina. Stacco la mano dalla ringhiera, le nocche bianche e le dita indolenzite, mi accarezzo automaticamente la pancia, tetto tondo del tuo micromondo.
Serena Giattina