Dopo un po’ si addormenta. Le stavo ancora parlando. Cosa fare? Il mostro dell’inattività mi minaccia, impensabile non leggere nemmeno niente, anche se il sonno mi assale, non voglio cedere. Londra non l’ho capita, come tante altre cose. Guardo il foularino da otto pound comprato a Camden Town e il portacellulare con la bandiera britannica, la mano che scivola stringendo ancora il BlackBerry e penso alla pazienza e allo spirito di adattamento e che in fondo deve essere bello sapere cosa si vuole dalla vita, organizzarla in quadernini portadocumenti righelli borsette cornici e sapere sempre dove sono le proprie chiavi. Ho le unghie spezzate, non faccio la lavatrice da due settimane, buco tutte le calze, mangio schifezze e durante la notte mi cuociono in testa sogni folli e sto bene.
Il treno rallenta per la prossima fermata, sulla banchina una coppia sulla quarantina in bicicletta, con i giubbotti catarifrangenti e le facce arrossate dal freddo, si salutano ma non si vogliono staccare, lei sale, sistema la bici, va alla porta per baciarlo ancora. Il treno riparte e un ragazzo in completo scuro e sorriso luminoso insegue la fermata, ma non è la sua. Molte grazie, signore. Nemmeno il tempo di sedersi e ha tirato fuori un mazzo di carte non si sa da dove: è il suo primo numero. I need to practise (ma il sorriso e i modi sono già perfetti), scegliete la vostra carta magica, e il tre di fiori ricompare in ogni gioco, si ripresenta e si sovrappone con le immagini di una città da ansia di scoperta, che ti trovi presso le principali attrazioni e hai un rigetto per i nastri turistici con cui infiocchettano un luogo in cui vivono persone vere e vuoi la polvere e i topi della metropolitana e i bagni luridi a 30 pence e che quando hai quello vuoi altro, ancora ancora e ancora il tre di fiori, abbiamo trucchi fino a Reading.
Valeria Balistreri
Valeria Balistreri