Io ti guardo.
E non credere che le mura ti possano proteggere, neanche le bugie che da bravo maritino hai raccontato alla scimmietta insipida di tua moglie Beth, tu hai osato oltrepassare la superficie della melma paradisiaca di uomo che si è fatto da sé: casa invidiabile, auto da status symbol, moglie non abbastanza sensuale da crearti gelosie, figlioletta che ti chiama paparino; ti mancava l’amante per scatenarti nel tipo di sesso che non riesci a fare con la scimmietta che hai sposato (solo posizioni canoniche? chiude gli occhi quando ti spogli?)
E non credere che le mura ti possano proteggere, neanche le bugie che da bravo maritino hai raccontato alla scimmietta insipida di tua moglie Beth, tu hai osato oltrepassare la superficie della melma paradisiaca di uomo che si è fatto da sé: casa invidiabile, auto da status symbol, moglie non abbastanza sensuale da crearti gelosie, figlioletta che ti chiama paparino; ti mancava l’amante per scatenarti nel tipo di sesso che non riesci a fare con la scimmietta che hai sposato (solo posizioni canoniche? chiude gli occhi quando ti spogli?)
ma tu hai visto me e hai deciso di travalicare il tuo oratorio; tu lo sai che non sempre è facile tornare indietro, i sapori forti segnano confini, una volta provati tracciano punti di non ritorno - è pur vero che rinunciando ci si può riabituare a brodaglie tiepide e orgasmi stinti, a malincuore, mutilando l’animale erotomane che domanda sudore -; non hai tenuto conto di me, non sono lo svincolo che ti tira fuori da una trama esistenziale prevedibile, ti sei sbagliato, sono la rete della tua trappola, e non che tu mi piaccia chissà quanto – ce ne sono tanti che sanno scopare meglio di te, che sanno stare zitti senza esaltare il loro ruolo sociale, che lo hanno più grosso di te -, il punto è un altro: tu hai pensato che io fossi un territorio dove le tue tracce non avrebbero lasciato memoria, neanche un filo d’erba piegato, non ti sei accorto che dove tu poggiavi i mocassini da dirigente aziendale c’era resina, delle più appiccicose, alcuni la chiamerebbero “colla per topi”, altri possessività, io la chiamo materializzazione del rischio: non ti puoi sporgere senza pensare che il precipizio è una possibilità, sono la tua probabilità sfavorevole; ti è andata male, e ora, chinati, sei qui per soddisfare le mie voglie (quelle che tu non hai previsto), con la lingua - lo so, non erano queste le tue intenzioni, ambivi ad altro -, il piacere apparterrà solo a me, e non sarà sessuale, sarà altro, sottile, il numero inesistente di una roulette per uomini o la combinazione impossibile di una slot: seppur sarà la sconfitta del mio mondo complementare al tuo godrò nel dimostrarti che vite parallele si incontrano. Non pensare a me come ad una giustiziera, non ti ho tagliato nemmeno l’uccello. E non mi chiamare Beth, non servirà a nulla.
Giorgio D'Amato