Chi sostiene che Dio non esiste
farà meglio a vedersi una partita.
Se la veda in santa pace, per
capire e carpire i segreti dell'onnipotenza della fede.
Senza affliggervi con sermoni e
litanie vi porto subito ad esempio il caso di Giacomo Ciminna.
Giacomo Ciminna fino all'età di dodici
anni era un vero depravato, uno di quelli che gioiva ora per questa squadra,
ora per quell'altra. Gli bastava vedere degli uomini correre dietro ad un pallone
e, fossero stati pure i "Minchia ma comu jocanu chisti", lui andava
in visibilio, saltellando come un grillo in primavera.
Quando suo padre lo portò a
vedere la partita Palermo - Roma fu proprio
allo Stadio che ebbe l'illuminazione!
Quel giorno il Barbera
straripava di tifosi, trombe, fumogeni e sciarpe rosa nero.
La vittoria praticamente in
tasca.
Dagli spalti, all'indirizzo dei
nemici, si alzavano capolavori di cori ed epitaffi commoventi: "Morte alla
Roma, morte alla Roma"!
Nessuna pietà, nessuna
misericordia – i siciliani si sa, il sangue vogliono vedere!
«Vi manciamu cu l'uocchi e 'un
lassamu mancu l'uossa.»
La Roma vinse contro ogni
aspettativa.
Giacomo Ciminna, aveva contato ad
uno ad uno i miracoli concessi a quella squadra: cecità improvvisa dell'arbitro
che non riconobbe i tre rigori alla squadra di casa, inspiegabile azzoppamento
del migliore attaccante palermitano che uscì in barella senza far ritorno, eclissi totale del portiere siculo, con conseguente insaccatura di goal a più
non posso.
Giacomo Ciminna alla fine, mentre
i tifosi uscivano in processione che parevano portare la sconfitta a spalla, si
ritrovò inginocchiato, con le braccia alzate verso il cielo scoprendo così la
sua vera fede.
«Dio c'è» gridò, concependo
proprio in quel'istante la scritta che, vent'anni dopo, avrebbe dipinto sul suo
lambrettino.
Adelaide J Pellitteri